Santa Ricchezza e drammatica contingenza
Palazzo Chigi non riesce a dare un obiettivo condiviso da tutti
Titoli del Corriere della sera del 5 gennaio scorso: «finiti i motivi per temere l’Italia». Domani Monti incontrerà Sarkozy, poi la Merkel. «Chiederà meno vincoli sul debito». Circola, già dentro i titoli, un soffio di ottimismo, ma La Nota di Massimo Franco ammonisce: Rischi di cortocircuito per un governo proiettato sull’Unione, e l’incipit non potrebbe essere più chiaro: «La tensione politica non si placa. Spunta in modo disordinato, provocando focolai improvvisi, che magari si spengono rapidamente; oppure si spostano da un problema all’altro. E l’impressione finale è quella di un governo vittima di strani cortocircuiti, quando non veri e propri errori, destinati a suscitare resistenze e malcontento: a torto o a ragione. E’ come se viaggiasse su un mare di inquietudini sempre pronte a scatenarsi; e alimentate dall’eterogeneità di una maggioranza che riflette blocchi sociali e dunque interessi diversi; dal timore che le misure prese finora non bastino a vincere una crisi economica dolorosa e dalla difficoltà di Palazzo Chigi a offrire all’opinione pubblica un obiettivo condiviso da tutti. E’ un problema che qualcuno definirebbe di narrativa. Spiegare quanto si sta facendo, perché e con quali obiettivi. E sta bene, ma dando per scontato che la brutta crisi sia figlia del Cielo? Che non vi siano precise o precisabili responsabilità di uomini: politici, industriali, manageriali e via accusando, senza lasciar da parte le banche, sempre in testa al corteo del malessere come prima causa? Responsabilità che rinvia a un solo binomio: eccessi di egoismo. Alla base di questa drammatica contingenza c’è stata la cieca mentalità del particulare guicciardiniano. Se è vero che, come insegna la Favola delle api del “glorioso Settecento europeo”, la sola virtù non produce ricchezza (api viziose, uguale benessere, api virtuose, povertà), è ancora più vero che il solo egoismo produce disastri: disoccupazione, inflazione, tensioni sociali, e via elevando fino al possibile cielo delle proteste violente (che il capo della Polizia, Manganelli, ritiene non solo possibili, ma non lontane: vedi l’editoriale di Giovanni Bianconi, La violenza sotto traccia, Corsera del 24 febbraio). Il governo di Mario Monti è nato per affrontare la patologia economica qui accennata, ma non può fare miracoli. Intanto lo stesso giornale recava anche quest’altra negatività: L’Iva e le accise spingono l’inflazione Crescita del 2,8%, la più alta da tre anni”. Più inflazione significa più sofferenza per le categorie sociali di basso livello mercantile. Sulle speranze del governo Monti brillava quest’altro titolone: Ma la Germania vuole la linea dura’: rigore e poi aiuti. Rigore: ecco, giusto, un valore ignorato dalle spanciate di certe Regioni italiane, che accendono l’indignazione di giornalisti votati alla decenza, come Sergio Rizzo. Una sua’indagine, sul Corsera del 27 gennaio, svergogna i consiglieri regionali più ingordi sotto questo titolo Regioni, la giungla dei privilegi. In Sicilia e Sardegna stipendi record. Ecco il primo capoverso dell’articolo, fremente d’indignazione: “Al governatore siciliano Raffaele Lombardo, la sola definizione di gabbie salariali ‘fa schifo’. La sua coerenza è da lodare. Alla guida di una Regione con un numero di abitanti pressoché identico a quello del Veneto, ma un costo della vita inferiore del 9,4 %, Lombardo porta a casa, fra indennità e rimborsi il 43% in più del suo collega Luca Zaia”, in Veneto, “il cui prodotto interno lordo, dice l’Istat, è del 75% superiore a quello della Sicilia”. E a quanto ammonta questa sopercheria? E’ presto detto: “170.319 euro netti l’anno contro 118.703”, L’ampio servizio continua e riempie quasi l’intera pg.11, dove uno specchietto illustrato passa in rassegna tutte le Regioni e relativi stipendi, giustificando ad abundatiam la metafora della giungla per la varietà scandalosa delle relative spese in stipendi, viaggi, rimborsi e personale burocratico. E siccome non c’è (quasi) dramma che non lasci spazio a un momento di comicità, ecco un Calderoli, di buona lana caprina, pronto a sparare bufale doc, contestando un fantomatico San Silvestro di “Festa al Palazzo”, e così costringendo un divertito premier a un’allegra smentita: «Il 31 festa in famiglia: cotechino a spese mie e niente servitù». Un secondo falso problema rinvia a protagonisti meno corrivi, ma non di molto: si fa chiasso sulle spese di rimborso alle guide per i viaggi di comitive formate da soggetti psichicamente disturbati in visita al Parlamento Europeo, inghiottendo con spudorato gusto gli stipendi dei burocrati di vario livello, che non soffrono certo per sobrietà francescana. Eppure un titolone annuncia: Visite all’Europarlamento, scure in arrivo sulle spese. E ancora: «La Corte dei Conti europea: dubbi sui calcoli dei rimborsi degli accompagnatori e sull’assenza di ricevute». A simili ridicolaggini gli euro-deputati, rispondono: «I controlli? Troppo cari». Risposta piccata, ma ben meritata (e sia detto senza riguardi per quegli europersonaggi altrettanto ben foraggiati). Si calcola in 606 milioni l’anno «i risparmi possibili equiparando i costi delle giunte regionali». Un sogno, quest’altro, destinato a sciogliersi al primo sole di primavera. Come ogni altro che minacci privilegi tanto più vergognosi, nell’attuale crisi, per i meno protetti, che sono maggioranze ignorate dallo Stato, avaro finora con i deboli e fastoso con i pesci grossi. Commenta, Rizzo: «La verità è che in Italia le uniche gabbie salariali esistenti (quel sistema in voga un tempo per cui gli stipendi erano più bassi dove il costo della vita era inferiore) ce le hanno i politici. Però al contrario». E si chiede se abbia senso che «un consigliere regionale molisano […] intaschi ogni mese fra indennità e rimborsi vari 10.125 euro netti contro gli 8.639 del suo collega della Liguria», dove il costo della vita è del 32, 8% più alto che nel Molise. E ancora: «Ha senso che un consigliere regionale dell’Emilia Romagna abbia un appannaggio netto pari a metà di quello che incassa un consigliere della Sardegna (5.666 euro contro 11.417)? O che la busta paga del governatore della Calabria, pure dopo essere stata tagliata di 27 mila euro, sia ancora di 43.000 euro l’anno superiore a quella del presidente della Toscana?». Domanda che si replica per tanti altri casi di confronto scandaloso. Ma, per finire, come il bel programma Tv della Gabanelli, con le good news, lodiamo i tagli di Nichi Vendola, Chiodi, e qualche altro caso di tagli meno consistenti, ma pur significativi di un certo pudore. Proprio la qualità che manca agli ingordi sopra non lodati e ai troppi di altre categorie che l’esigenza della brevità ci consiglia di ignorare (per il momento). Per dare spazio a un barlume di speranza sul futuro ricordiamo il decreto che fa obbligo ai supermanager di pubblicare il loro stipendio se supera quello del primo presidente della Cassazione. Sergio Rizzo se ne occupa sul Corsera del 23 febbraio, sotto un titolo prevedibile: Stipendi da pubblicare. Tutte le resistenze dei manager di Stato. Ecco l’incipit del servizio: «Il ministro della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi sta incontrando resistenze per avere dal governo la lista di un centinaio di nomi di presidenti e direttori generali il cui stipendio supera quello del primo presidente della Cassazione. D’ora in avanti le retribuzioni non potranno sfondare il tetto imposto dal decreto “salva Italia”, che si aggira sui 295 mila euro. Il ministro ha chiesto ai manager che guadagnano di più di autodenunciarsi entro oggi. Patroni Griffi stamattina porterà alle commissioni Affari costituzionali e lavoro della Camera un primo elenco di supermanager». Un altro titolo dello stesso servizio di Rizzo (a pg. 9) recita prevedibili difficoltà da bulimia egolatrica: La caccia all’introvabile Eldorado dei super stipendi. E i sottotitoli esplicitano: «Scovare nomi e paghe dei burocrati è una specie di nascondino, il salva Italia è pieno di eccezioni». Eccole, le scappatoie dei nuovi «furbetti del quartierino»: le mefitiche eccezioni. Né ci sono soltanto i conclamati superstipendi, ormai tallonati dal controllo statale, esteso fino al confine svizzero, con scandalizzato disappunto di certi amici degli amici (evasori); esiste anche l’elusione. Un servizio dello stesso Corsera citato (a firma di Giovanni Stringa) illustra, sul tema, il pensiero del prof. Enrico De Mita (fratello del più noto Ciriaco): l’elusione è una versione coperta dell’evasione: un modo legale di imbrogliare l’Agenzia delle entrate. Quando si dice l’ingegno! Titolo dell’articolo: «Il governo batta l’elusione. Così potrà abbassare le tasse». Speriamo, dunque? E speriamo! Ma la terapia taglia-stipendi panciuti, bene che vada, finirà con qualche taglietto pressoché indolore e molte grida di scandalo maligno per questo tentativo di alleggerire gli emolumenti più scandalosi.
Speranza a parte, il dato ancora allarmante è nella resistenza dei super milionari allo “scoprimento” della personale fortuna: è evidente che la ritengono moralmente irreprensibile, questa spudorata fortuna; dunque al sicuro da soprassalti di coscienza. L’eventuale renitenza a “mostrarla” non ha niente a che vedere con scrupoli e disagi morali da confronti imbarazzati con la massa dei poveri che ancora esistono nel belpaese dei privilegi e delle ingordigie. Il Corsera del 23 febbraio “presenta” «i più ricchi al governo»: Paola Severino, guardasigilli del governo Monti: 7.005.649 euro; Corrado Passera, ministro per lo Sviluppo: 3.529.602 euro, più altri 8,8 milioni derivati dalla vendita di titoli di Impresa Sanpaolo; e così via. Giovanni Belardelli scrive un predicozzo sotto specie di articolo, dove critica la curiosità (per lui morbosa) sulle ricchezze dei paperoni, e sotto sotto consiglia di non mettere in mostra quelle esorbitanze: potrebbero eccitare odio negli esclusi. Testuale: «soprattutto bisognerebbe evitare che alimenti un sentimento di invidia sociale sempre latente in un Paese come il nostro, in cui ha larga diffusione il pregiudizio negativo dei confronti della ricchezza in quanto tale»: eccetera. Insomma, la ricchezza, che puzza sempre di immoralità, diretta o indiretta, nuda o appena velata, dovrebbe, invece, secondo questa filosofia del gambero, essere benedetta sempre, purché non acquisita con modi e mezzi ritenuti, o ritenibili, illeciti secondo norme scritte. Questo sfogo strettamente personale vorrebbe, invece, sostenere che in qualunque ricchezza c’è del male: a farlo scattare, il male, è l’immensa estensione della povertà e miseria diffusa nel mondo, e non certo assente nemmeno nella nostra bella Italia dai mille miracoli (profani) e altrettanti abusi. Dove, peraltro, nemmeno la più rispettata istituzione, la Chiesa, dà il buon esempio. Come emerge da questa notizia del Corsera del 9 febbraio: Vaticano, i fondi dello Ior trasferiti in banche tedesche. L’occhiello “scrive”: «La decisione forse legata ai nuovi controlli imposti da Bankitalia» E il “catenaccio”: «Chiuso il rapporto con nove istituti di credito italiani». Quando si dice «dare il buon esempio»! Ma vogliamo aggiungere un cenno a un’altra categoria interessante del mammonismo evasore, quale emerge da quest’altro titolo del Corsera (5 gennaio): I poveri di Cortina con le auto di lusso. Uno su tre dichiara 30 mila euro. E le ispezioni moltiplicano gli scontrini. Nello stesso quotidiano l’editoriale, di Dario Di Vico, suona fin dal titolo un appello morale: Non lasciamo solo chi subisce la crisi. Tra le altre cose interessanti, l’articolo contiene un appello alle banche, perché non siano avare verso «le piccole e medie imprese bisognose di credito». Ma temiamo che l’appello cada nel vuoto: giusto il sistema bancario, in questo momento, è “sotto attacco”, cioè criticato per il suo egoismo da strozzini.
E chiudiamo con lo scandalo più cinico del momento storico in corso, lo scandalo dei suicidi per incapacità pecuniaria: infelici che s’impiccano o si sparano (o, se donne, si buttano dal balcone, come quella povera anziana), spinti dalla disperazione più nera, quella di non reggere a una povertà senza soccorsi, aggravata, a volte, dalle pretese di Equitalia di far pagare impossibili tasse a questi disperati. Equitalia: anche l’ironia, contro i massacrati! I quali, più correttamente, la ribattezzerebbero, con rabbia e nausea, Disequitalia.
Intanto prepariamo, nel risparmio coatto, le somme imposteci da quella Disequi vampirica, per le esose prossime tappe delle estorsioni chiamate, infiorandole perfino nella scempia pubblicità, doverosi contributi alle sacre Finanze del paterno Stato: lo stesso dei superstipendi ai grossi manager e dei privilegi a deputati e senatori, vergognosamente in soprannumero (come le auto blu!). «Se le tasse le pagano tutti…!»
Pasquale Licciardello
Gio, Mag 10, 2012
Cultura&Società