“MINNAZZA” di Fabio Grossi al Teatro Stabile di Catania
Viaggio ideal-letterario, sociale e umano fra miti e storie di Sicilia!
Leo Gullotta, in prosa e in versi, nella storia e nel mito, racconta, accompagnato da due fisarmoniche, la Sicilia, vicina e lontana, arcaica ed attuale; rievoca la sua «carusanza» al “Fortino” di Catania
Dominato dalla voce monologante di Leo Gullotta, è stato dato di recente, al Teatro Stabile di Catania, Minnazza – Letture tra i miti e le pagine di Sicilia, uno spettacolo di 90 minuti che racconta, in prosa e in versi, nella storia e nel mito, fatti della Sicilia, vicina e lontana, arcaica ed attuale. Ne è autore e regista Fabio Grossi che si avvale, nella incollatura dei testi, pure di storie della «carusanza» del narratore, passata a Catania nel quartiere “Fortino”, dove nacque e molto apprese, anche origliando fra i naturali bozzetti di strada.
Si tratta nello specifico di un viaggio ideal-letterario, sociale e umano, accompagnato dalle fisarmoniche di Fabio Ceccarelli e Denis Negroponte su musiche di Germano Mazzochetti in buona miscela mediterranea, evocatrice di tempi passati.
Come la musica anche la scelta testuale (esigenza concettuale) ha qualche contaminazione esterna; ed anche il titolo, dove in Minnazza, metafora della Madre Terra, l’autore identifica la Venere di Willendorf, dea in calcare dalle grosse tette. Forse (codesta scelta) perché un riferimento, ad esempio, alla Venere di Morgantina, riconducibile all’isolana Demetra, dea delle messi e della fertilità, non avrebbe dato senso e forza espressiva al titolo.
Il cammino drammaturgico segnato, in apertura e in chiusura, dal poeta dialettale Ignazio Buttitta, ha voci di vurcanu quannu adduma: Quasimodo, Luigi Capuana, Tomasi di Lampedusa, Luigi Pirandello, Leonardo Sciascia, Giuseppe Fava, Giovanni Meli, Italo Calvino, Paolo Coelho e qualche altro.
Italo Calvino e Paolo Coelho fanno da pungolo al concentrato intellettuale siciliano: il primo (in La storia di Cola Pesce) perché, con la necessità e la libertà di scelta, educa a gridarlo se «il re è nudo», per così smascherare «l’arroganza del potere»; il secondo perché considera «meschino» chi «ha avuto paura di correre rischi». Sullo stesso filo di Calvino, a ben ragione, affermava Sciascia: «La sicurezza del potere si fonda sull’insicurezza dei cittadini»; su Coelho, si ritrova invece Fava: «Se non si è disposti a lottare a che serve essere vivi». In questo contesto, l’esaltazione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che hanno sacrificato la loro vita per rendere il mondo migliore.
Così, la voce solista dell’attore etneo denuncia gli intrighi, lo strapotere e la guerra; e denuncia anche i furbi che macchiano l’arte; e, sull’arte di fare teatro, cita l’onestà di Mario Giusti il quale voleva rendere lo Stabile catanese «onesto» e «pulito».
Insomma una piacevole e riflessiva recita solista dell’ottimo Gullotta e un elogiabile fiore di testi, cui però non mi hanno avvinto l’ibrida scrittura di Andrea Camilleri e il ragionar su Pirandello.
Pino Pesce
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Dom, Giu 4, 2017
Primo Piano, Spettacolo, Teatro