Qandeel Baloch e il volto violento delle false credenze
La speranza che possa finire questo oceano di sangue!
L’ennesimo attentato alla democrazia, alla libertà d’espressione: una piena violazione dei diritti umani. Quandeel Baloch, la “Kim Kardashian del Pakistan” è l’ultima (illustre) vittima della deriva fondamentalista dello stato asiatico. Uccisa dal fratello perché ostentava costumi diversi dal tradizionalismo islamico, usanza becera quella del Purdah, il divieto assoluto di poter vedere uomini da parte del gentil sesso. Una pesante e socialmente debilitante osservanza imposta dai Talebani non solo in Afghanistan ma anche nei territori pakistani ed in molti altri stati islamici. Quandeel era una nota modella pakistana che, attraverso la sua centralità mediatica, stava sensibilizzando l’opinione pubblica sul delicatissimo tema delle donne: «How i am trying to change the typical orthodox mindset of people who don’t wanna come out of their shells of false beliefs and old practices» (Sto cercando di cambiare la mentalità ortodossa tipica delle persone che non vogliono uscire dai loro gusci di false credenze e pratiche stantie) diceva. Moltissime in Pakistan (ed in tanti stati con nutrite cellule fondamentaliste) sono ancora vittime del maschilismo e del patriarcato, con tutte le imposizioni arcaiche che questo comporta. Molti capi famiglia impongono tutto ciò per paura di ritorsioni personali da parte dei terroristi, altre per semplice tradizionalismo. L’usanza più comune è quella che la donna sia un semplice strumento di procreazione, dedita ad allevare ed accudire la famiglia e che la sua figura non rivesta un’importanza sociale al di fuori della cerchia familiare. Infatti l’analfabetismo colpisce in Pakistan maggiormente (ed ovviamente) il sesso femminile. Perché è negando il diritto allo studio che è più facile impaurire, da un lato tramite l’ausilio delle armi (come accaduto nella valle dello Swat in questi anni) dall’altro negando la possibilità di formare coscienze critiche. Agli uomini invece si impone una formazione islamica estrema, con gruppi jihadisti che, soprattutto nelle regioni più povere, riescono a rimpinguare le loro file, formando ed addestrando al fanatismo terroristico. E chi non accetta queste regole, e vive “all’occidentale”, come osano definire la normalità civile i talebani, deve costantemente avere timore di ritorsioni personali o familiari, molte volte abbracciando o sfiorando la morte: è quello che è accaduto a Malala Yousafzai la giovanissima diciassettenne pakistana, paladina dei diritti, che, all’età di 13 anni, ricevette tre colpi di pistola in pieno volto da un commando delle milizie talebane pakistane. Appena uscita da scuola, sul pulmino che la stava riportando a casa. Nel 2014 è stata insignita del Nobel per la Pace, la motivazione del comitato per il Nobel norvegese è stata: «per la loro lotta (è stata insignita insieme ad un altro attivista indiano ndr) contro la sopraffazione dei bambini e dei giovani e per il diritto di tutti i bambini all’istruzione». Istruzione, pace, diritti. Parole che sembrano ancora lontane per i popoli nella morsa dell’estremismo, molte volte con la complicità di governi farraginosi o conniventi che non riescono a fare emergere la sana “società civile”, sostituita da maggiori e colonnelli che hanno un ruolo fondamentale negli assetti governativi, cosi come molti Mullah fondamentalisti nelle comunità locali, anche le più remote. Il coraggio e la bellezza di Quandeel, la forza e la vigorosità di Malala. La prima da ricordare, la seconda da custodire. Con la speranza che questo oceano di sangue possa definitivamente finire.
Giovanni Frazzetto
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Sab, Lug 23, 2016
Attualità, Cultura&Società