Sergio Mattarella, il Presidente che piace
Sergio Mattarella è il nuovo Presidente della Repubblica. Democristiano, della sinistra DC, giudice della Corte Costituzionale, fu uno dei quattro Ministri che nel 1990 rassegnarono le dimissioni dal proprio dicastero per contrastare l’ascesa di Berlusconi e delle sue tv, sancita dall’approvazione della Legge Mammì. Proprio questo trascorso spiega, meglio di qualsiasi premessa, l’avversità del Cavaliere al nome di Mattarella e la portata della vittoria di tutto il centro sinistra. Una vittoria che porta il nome di Matteo Renzi ma che ha, nella sua genesi, un protagonista poco enfatizzato dalla stampa nazionale, Pierluigi Bersani: il premier mancato, il segretario che diede le dimissioni proprio a seguito del Napolitano bis e dei 101 franchi tiratori che negarono a Romano Prodi la Presidenza della Repubblica. Perché probabilmente, analizzando con più lucidità questo momento storico, Matteo Renzi si è trovato costretto a rompere il patto del Nazzareno, magari non con pochi ripensamenti, a poche ore dalla prima chiama. Infatti non bisogna dimenticare che il Premier da mesi dialogava con Forza Italia su un nome che avrebbe dovuto accontentare tutti, barattando l’accordo nazzareno con l’approvazione in Senato della legge elettorale che, senza i voti di FI, non sarebbe mai passata. E i nomi proposti a Berlusconi erano due: Amato o Casini. Due nomi che avrebbero trovato la contrarietà della minoranza Pd e di SEL ma che avrebbero comunque permesso al Nazzareno di continuare ad esistere, garantendo, nei prossimi mesi, l’approvazione della riforma costituzionale in cantiere. Due nomi che avrebbero fatto precipitare la già precaria situazione di frammentarietà interna al Pd. È stato proprio lo spettro di un’inevitabile scissione a far smuovere Bersani, un uomo che più di chiunque altro crede nel Pd unito. A sorpresa, quando per Berlusconi tutto era stabilito, Bersani chiede e ottiene un faccia a faccia con Renzi. Durante l’incontro si parlò di prospettive future, di elezioni anticipate, di unità del Partito e di un nome caro a Bersani, già inserito nella rosa dei nomi del 2012: Sergio Mattarella. Un nome che avrebbe compattato il centro sinistra, dividendo Forza Italia (non in possesso di un piano b) e generando malumori nel Ncd; un nome che avrebbe dato popolarità al Premier anche in vista di possibili elezioni anticipate. Un nome che Renzi, da ottimo calcolatore, non poté rifiutare. E Mattarella rappresenta esattamente la cinicità delPremier; un politico capace di ascoltare i consigli (quando convenienti), di sfruttare gli avversari (quando utili) e di bastonarli nel momento di maggiore fiducia reciproca (quando necessario), perché nulla lasciava presagire questo finale. Un esito che crepa, forse irrimediabilmente, il patto del Nazzareno ma che apre a prospettive inattese con lo sfaldamento del centro destra. Adesso non resta da capire se il nuovo Presidente assumerà il ruolo di arbitro passivo della Repubblica o se, seguendo gli esempi di Scalfaro e Napolitano, interverrà nelle questioni di governo, magari bacchettando Renzi che, di certo, avrebbe preferito un presidente più vicino alla sua corrente di pensiero. E Mattarella è un nome che piace anche per questo, per la rigorosità, per l’intransigenza morale e per l’autonomia di giudizio. È un nome che piace perché, in fondo, è riuscito a scardinare l’odioso meccanismo del nome scelto a tavolino tra due leader che, almeno nell’immaginario collettivo, dovrebbero stare a debita distanza politica.
Danilo Festa
Dom, Feb 22, 2015
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