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“Il teatrante” di Thomas Bernhard al Teatro “Verga” di Catania

Lun, Feb 17, 2014

Spettacolo

Branciaroli in un pedante e lagnoso monologo che ha stancato ed infastidito

Una linea retta, ossessiva, senza armonie corali e senza speranza di approdi. Al timone, un megalomane; povero nel monologo, monocorde, che non lascia allo spettatore alcunché di significativo, perché non fa né odiare né innamorare; proprio «sanza ‘nfamia e sanza lodo».

Qui il succo ristretto de Il teatrante di Thomas Bernhard, dato al Teatro “Verga” di Catania per lo Stabile della Città etnea, dietro la produzione CTB Teatro Stabile di Brescia / Teatro de “Degli Incamminati” e sotto la regia di Franco Branciaroli che ne è anche attore protagonista monologante, essendo gli altri interpreti (sei) molto marginali nell’azione teatrale.

Riconoscendo che l’intenzione dell’Autore potesse essere quella di operare una sorta di pedagogica caricatura dell’Artista ridondante di sé stesso, in ubbidienza alcastigat ridendo mores verso quanti ne assumono le movenze, i tratti, il piglio di costui, è anche vero che, nel caso in questione, sia venuto fuori un pedante, lagnoso, monotono monologo che ha stancato ed infastidito non pochi, i quali, differentemente da coloro che (a leggere un recensore de La Sicilia) sembrano aver colto, goduto, osannato i «toni perfetti» della  «magnifica prova d’autore», stavano invece lì, a fare un tacito e  accorato countdown che annunciasse la fine della rappresentazione!

Solo un testo lungo, ripetitivo, stancante, monotono, ossessivo, come acqua pestata nel mortaio, senza sviluppi, senza sorprese, senza svolte, senza crescendi emotivi, né diminuendi.

A tratti la tessitura sembra stia per dire qualcosa che ti insegni e ti motivi, che ti intrighi e ti lasci riflettere, ma, dopo aver decodificato l’intruglio verbale ammantato di filosofie esistenziali, ti accorgi e comprendi di aver soltanto ascoltato sofismi deliranti di autocompiacimento e di autoreferenziamento e quant’altro di più inutile ed insignificante possa venir fuori, lasciandoti un senso di sospesa incompiutezza. Per di più, il mito dell’attore-artista, che incompreso vive di “altro”, irraggiungibile nella sua arrogante prosopopea; che si auto incensa senza sosta, disprezzando dal suo piedistallo chiunque interloquisca con lui e che da lui, allo stesso tempo, dipende come una droga, rimanda solo ad una figura antipatica e fastidiosa la quale ridicolizza, in modo impietoso, un certo tipo di attore che, quando è davvero di razza, per vocazione, sa farsi amare proprio per lo stile con cui vive e manifesta eccessi e contraddizioni.

La considerazione che emerge a tal proposito (e che deve alla fin fine tener conto di un pubblico eterogeneo, il quale possa comprendere, apprezzare e applaudire) è che il messaggio di Bernhard e della sua trascrizione, avrebbe potuto certamente rendere molto di più se realizzato in metà tempo. SoloTroppo lungo l’elucubrare monocorde di una figura così insulsa e grigia; nella sua pretesa un eletto. Troppe note fuori armonia.

In relazione al protagonista, può capitare che l’ambizione di ritenersi capace di dominare da solo la scena per ore, senza tener conto se il personaggio e la sua storia vi si adattino, incorra nel rischio di una mediocre performance che potrebbe gettare un velo d’ombra su un passato artistico di tutto riguardo. Questo è quel che sembra sia capitato a Franco Branciaroli.

La sensazione provata per tutto il tempo, e che all’inizio sembrava intrigare perchè si aveva la sensazione che ti conducesse ad un sviluppo brillante della scena e del discorso, in realtà si impone come un cliché che tutto informa di sé dall’inizio alla fine. A chiudere gli occhi, si aveva la sensazione di sentire la declamazione caricaturale del grande Vittorio De Sica, l’enfasi originale ed irripetibile di un portento dello spettacolo. Mai un guizzo, mai un ardimento creativo nei ritmi, nelle tonalità, nei tempi della voce, della scenografia, e della regia.

Deludente è quindi lo spettacolo, e anche l’opinione di chi può avere poca tolleranza di questo modo di far teatro che, troppo enfatico, enigmatico, metaforico, decadente, audace e impegnativo, rischia di svuotare di spettatori i già deserti e agonizzanti teatri. 

Norma Viscusi

Norma Viscusi

Pianista. Insegna Musica nella sc. Media Q. Maiorana di Catania. Ha conseguito anche il Magistero di Scienze Religiose presso IRSS San Luca di Catania, Facoltà di teologica di Sicilia. Il suo interesse è poliedrico: musica, arte, cultura, volontariato e giornalismo. Collabora come editorialista, freelance, con diversi periodici e quotidiani. Fra questi Freedom 24, Zona franca, l’informazione, Aetnanet, Newsicilia, l’Alba. Ha pubblicato saggi di letteratura religiosa sulla Scapigliatura, Lo spazio di Dio in Tarchetti in La letteratura e il Sacro, narrativa e teatro, cura di F. D.Tosto, vol. IV ed. ESI, 2016 Napoli e per la collana “Nuova Argileto”, La Scapigliatura. Tra solitudine e trasgressione, Lo spazio di Dio in Tarchetti, Rovani e Dossi. ed. Bastogi, 2019 Roma. Ama dedicarsi in modo particolare a recensioni musicali e teatrali.

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