“Bellas Mariposas”, un film di Salvatore Mereu
Padri nullafacenti e madri tuttofare con figli cresciuti troppo in fretta
Il cinema italiano mostra i muscoli e torna senza paura nei quartieri difficili della periferia, attraversando con naturalezza appartamenti fatiscenti, giardini di cemento, famiglie allargate capitanate da padri nullafacenti e madri tuttofare, con figli cresciuti troppo in fretta. Questo mondo magmatico, colorato, carico, rumoroso, al limite del grottesco più che essere lo sfondo è il vero protagonista del film di Salvatore Mereu Bellas Mariposas, tratto da un racconto di Sergio Atzeni e presentato alla sezione Orizzonti del 69esimo Festival di Venezia.
Il lungometraggio raccoglie la testimonianza di Cate, undicenne cagliaritana, che vive nel quartiere Sant’Elia, con un padre scansafatiche ed erotomane, una madre che con coraggio si dedica alla famiglia, undici fratelli, diversamente impiegati nella delinquenza locale, e una sorella poco più grande, già madre di due figli, che esercita il lavoro più antico del mondo. Nonostante il contesto poco edificante, Cate è determinata nel perseguire il proprio sogno: diventare cantante, rimanere pulita e sposare Gigi, ragazzino nerd della zona.
Il film racconta una lunghissima giornata della protagonista, che dal quartiere si reca a mare con la propria migliore amica, Luna, poi a prendere un gelato in centro, per fare una piccola tappa a casa di Gigi e poi di nuovo in centro, fino a sera, dove al rientro l’arrivo di una sorta di maga sconvolgerà le sorti di tutti, molto probabilmente per sempre.
Salvatore Mereu porta nelle sale un piccolo capolavoro di indagine della periferia italiana, un soggetto di cui gran parte del cinema di casa nostra sembra essersi dimenticato, ormai appiattito dalle solite storie di borghesi e nuovi poveri, di drammi familiari e di questioni pseudo sociali. Bellas Mariposas porta una ventata di freschezza ad un panorama cinematografico irrigidito, da anni in mano a registi ed attori che, seppur di valore, faticano ad uscire dagli schemi: Sorrentino e Tony Servillo, Comencini e Margherita Buy, e ancora Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, e via dicendo.
Con uno sguardo verso la periferia, privo di moralismo o di falsa pietà, Mereu si serve dell’ironia, la stessa di Atzeni per compiere la propria esplorazione di quella porzione di realtà spesso dimenticata. Una visione d’insieme vivida e coraggiosa, che riesce a mixare la fiaba con il dramma, l’ancestrale con il contemporaneo, fornendo una chiave di lettura inedita della vicenda.
A rendere il film un piccolo gioiello, la fotografia che ritrae scorci sconosciuti di una Sardegna verace, e le ottime interpretazioni di Sara Podda, nel ruolo di Cate, e di Luciano Curreli nei panni del padre della protagonista, sorprendente anche Micaela Ramazzotti nelle vesti di una originale maga.
Laura Timpanaro
Mer, Ott 9, 2013
Spettacolo