Ricordati a Paternò i tragici eventi dell’estate del ’43
Il 13 e 14 luglio solenne commemorazione del 70° dei bombardamenti
Con le solenni manifestazioni commemorative del 13 e 14 luglio a ricordo del 70° Anniversario dei bombardamenti su Paternò l’Amministrazione Comunale, di concerto con l’Assessorato alla Cultura e la Presidenza del Consiglio, ha inteso ricordare una delle pagini più drammatiche della storia della città: l’estate del ‘43, come ci testimonia l’omonimo, bellissimo libro che Ezio Costanzo consegnò alla memoria della Città e alle nuove generazioni nel 2001.
A 70 anni dai quei tragici eventi bellici, Paternò, Città insignita nel ’72 con la Medaglia d’Oro al Valore Civile, non ha dimenticato i suoi morti e la sua distruzione, ne fanno fede le testimonianze ancora vivide di chi porta nel corpo e, soprattutto, nell’animo le tracce indelebili di quella tremenda guerra: la stratificazione dei ricordi dei tragici eventi del 14 e 15 luglio è diventata parte integrante dell’identità cittadina, una banca della memoria collettiva che in questo lungo arco di tempo ha contribuito a mantenere vivo in ognuno il ricordo di quella terribile estate.
Era un caldo pomeriggio, intorno alle ore 14 del 14 luglio, inaspettati quanto cruenti bombardamenti da parte degli anglo-americani si abbatterono su Paternò causando la morte di circa trecento inermi cittadini e la distruzione di interi quartieri della città. Paternò era diventato un obiettivo strategico degli Alleati in quanto Centro dei Comandi Tedeschi ed Italiani e la sua conquista una tappa d’obbligo per arrivare a Catania. A meno di 24 ore dal bombardamento del 14 luglio, e fino al 5 agosto, la città fu nuovamente martoriata da una nuova ondata di bombardamenti che contribuì a compiere l’opera di morte e distruzione della città.
Dalle macerie delle case venivano estratti centinaia e centinaia di morti, una stima approssimativa parlò di tremila, addirittura di cinquemila morti; i feriti, circa un migliaio, trovarono ricovero presso l’ospedale S.S. Salvatore, altri vennero collocati nell’ospedale da campo che fu approntato presso il Giardino Moncada, la villa comunale; la gente, in massa, sfollava verso la vicina Ragalna e le campagne vicinori, accolta con generosità dagli abitanti di quei luoghi. Il Giardino Moncada, fu teatro di uno dei più efferati eventi di quei terribili giorni: l’incendio dell’ospedaletto da campo ivi impiantato, sembra intenzionalmente voluto dalle truppe tedesche in ritirata, dove perirono centinaia di feriti civili e militari. Per onor di cronaca è giusto registrare che la tesi dell’incendio si contrappone con quella che, invece, l’ospedale bruciò in conseguenza dei bombardamenti.
Nell’ immane rogo, trovò la morte anche un eroico frate cappuccino, padre Vincenzo Ravazzini, che, piuttosto che fuggire da quell’inferno, restò fino all’ultimo a portare conforto ai feriti. E a lui la Città, nella persona del Sindaco Mauro Mangano, nella solenne cerimonia religiosa del 14 luglio celebrata proprio alla Villa Comunale, ha inteso esprimere la propria eterna gratitudine deponendo una corona d’alloro sulla stele che ricorda il suo martirio.
Sui fili della memoria si intrecciano decine e decine di testimonianze di quanti allora bambini o giovinetti vissero quei tremendi eventi e a tutt’oggi ne rappresentano la memoria vivente. Una storia in cui convivono orrore e nobili sentimenti è quella raccontata dalla signora Agata Di Bella di 86 anni , allora una bellissima sedicenne , che avvalora la tesi dell’incendio doloso all’ospedaletto: “Ricordo ancora lucidamente il 14 luglio del ’43, quando la nostra casa, sita in Via Altarino presso u’paisi novu.fu bombardata. In verità- racconta la signora- l’evento poteva essere, in qualche modo, arginato in quanto i Comandi italiani la mattina del 14 luglio fecero cadere da un aereo su Paternò dei volantini in cui si preannunciava l’imminente bombardamento della città.
Ma la gente non diede la dovuta importanza al pre-allarme in quanto Paternò non era considerata una zona strategica e gli allarmi passavano addirittura inosservati da noi cittadini. Quel giorno mio padre era al lavoro e a casa c’eravamo io con le mie due sorelline più piccole e mia madre la quale , per sicurezza, pensò bene di preparare sotto il grande letto matrimoniale una sorta di rifugio ottenuto accatastando “trispiti”, tavole di legno e materassi e questo espediente ci salvò la vita. Quando i primi soccorsi arrivarono ai loro occhi si presentò uno spettacolo agghiacciante: la nostra casa, colpita dalle bombe, era crollata! Fummo miracolosamente salvate da sotto le macerie grazie al fatto che io mi misi disperatamente a scavare e all’improvviso una mano macchiata di sangue, la mia mano, sbucò fuori dai cumuli di pietre e detriti e indicò ai soccorritori che sotto le macerie c’era gente ancora viva! Poiché riportammo varie ferite, venimmo ricoverate all’ospedaletto da campo approntato alla villa comunale, dove prestava servizio un giovane carabiniere che si innamorò… di me! E a questo dolce sentimento la mia famiglia deve la vita: il carabiniere, avendo saputo che l’ospedale sarebbe stato bruciato ci aiutò a scappare e grazie a questo coraggioso, nobile gesto oggi sono qui a raccontarvi la mia testimonianza di quella indelebile, terribile estate del ’43!”
Agata Rizzo
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Lun, Lug 29, 2013
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