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Bateké Bakongò/ Arte tra riti ed estetica dell’Africa Subsahariana

Mer, Gen 2, 2013

Arte

Mostra d’arte rituale africana alla Galleria del Palazzo ducale di Pavullo nel Frignano

Inaugurata una mostra d’arte rituale africana, sabato 15 dicembre 2012, nella Galleria Comunale di Pavullo nel Frignano presso il Palazzo ducale. Si tratta di opere appartenenti a varie collezioni private di amanti delle forme e dell’espressione contenute nell’arte negra; precisamente: statuette, feticci, reliquiari, maschere destinati originalmente a cerimonie iniziatiche all’età adulta, a ingraziarsi le divinità panteistiche che regolano il ciclo agricolo, la caccia, la pesca, i ritmi della natura, così come le nascite, il buon governo e la giustizia nella comunità, le cerimonie legate alla morte.

La mostra, dal titolo suggestivo: Bataké Bakongò/ Arte tra riti ed estetica sell’Africa Subsahariana, curata da Attilio Angelo Aleotti e da Paolo Donini, intende proseguire lo sforzo orientato a presentare e a integrare l’arte africana nell’immaginario europeo, lungo la direttrice aperta dalle avanguardie del Novecento, in particolare da Picasso e dal cubismo nei primi decenni del secolo scorso. Il desiderio è quello di evidenziare come espressioni artistiche, nate e sviluppatesi in piena autonomia rispetto ai parametri estetici del mondo occidentale, siano in effetti al medesimo livello artistico e culturale, confermando quindi il diritto alla pariteticità del gusto e dei valori che liberano dal logoro e insostenibile fardello eurocentrico.

Le forme della creazione artistica negra sono il riflesso della grande spiritualità che permea i popoli e le culture dell’Africa Equatoriale, in special modo nell’area contro occidentale, e che li spinge a intrattenere un dialogo mediato attraverso maschere e statue vivificate nel ritmo e nella danza.

È interessante notare che i lineamenti delle sculture e delle maschere sono molteplici; non solo perché appartengono a svariati gruppi etnici, ma perché si cerca di riprodurre  ogni tipo  di persone e di animali, per estrarne un ritratto più fedele dell’universo e dello spazio che occupano gli esseri umani. C’è un’importante dimensione cosmologica in questi rituali e nel modo in cui si svolgono, come se ogni volta si ricreasse il mondo. Jean Laude in The Arts of Black Africa spiega che queste cerimonie sono cosmogonie in atto che rigenerano il tempo e lo spazio, dando a loro volta all’uomo un senso più chiaro del suo ruolo e della sua posizione esistenziale.

Alcune maschere appaiono molto schematiche, quasi geometriche, altre hanno un carattere altamente naturalista, il che conduce a riflettere sulla varietà di culture, sensibilità e percezioni che permeano le diverse etnie. L’augurio è che questa esposizione possa contribuire a superare gli stereotipi eurocentrici sull’Africa, immaginata come un unico blocco omogeneo di terra pieno di persone, egualmente omogenee.

L’arte europea dei primi decenni del secolo scorso si pose come primo intermediario tra due concezioni etiche ed estetiche. Già dalla seconda metà del XIX secolo, la Francia aveva cominciato ad acquisire uno speciale interesse per le colonie africane, e si iniziava a leggere narrazioni e ad osservare illustrazioni nei giornali francesi sulle atrocità che gli indigeni perpetravano nel continente nero: sacrifici umani, sangue, violenza, primitivismo. Gli abitanti di queste terre erano considerati nient’altro che selvaggi. Tutte queste iperboli erano un modo, spiega Patricia Leighten inWhite Peril and L’art nègre: Picasso, Primitivism and Anticolonialism, per giustificare la conquista francese di questi territori, la quale avrebbe perseguito il “nobile obiettivo” di “civilizzare” i selvaggi!

Fu solo attorno al 1906 che artisti, come Juan Gris, Pablo Picasso, Henri Matisse, Man Ray e poeti come Apollinaire, ebbero un’esperienza diretta dell’arte africana. L’interesse dell’avanguardia artistica verso quest’arte “primitiva” non fu una presa di posizione unicamente politica – imitarla significava prendere una posizione anticolonialista e antiaccademica – ma anche e soprattutto una scelta estetica. Il modo speciale in cui le maschere e gli oggetti rituali africani trasmettevano espressività, emozione immediata e irregolarità affascinava gli artisti in cerca di un nuovo linguaggio espressivo. Si pensi a Modigliani, Wilfredo Lam, e decine d’altri. È noto che il cubismo non esisterebbe senza l’influenza dell’arte africana. Geometria e decostruzione delle forme si ispirano chiaramente ai nasi triangolari, alle astrazioni e alla libertà formale di quest’arte altra, “primitiva” o tribale, che più sincera, spirituale ed espressiva, affascinò gli artisti del modernismo, marcando con la propria traccia evidente la prima avanguardia dell’arte moderna. E l’influenza fu tale da contaminare positivamente il mondo musicale del ventesimo secolo fino ai nostri giorni.

E’ bene ricordare che queste maschere e sculture non sono state pensate e realizzate per essere osservate come nella concezione occidentale, con sguardo indagatore e analitico, ma per essere usate in occasioni speciali, rituali, spesso mostrate solo agli iniziati, durante cerimonie religiose, in spazi con poca illuminazione, in un’atmosfera di altissimo rispetto e venerazione.

Occorre anche evidenziare che il tratto che accomuna tutte queste opere è la profonda sensibilità e versatilità che si osserva in ognuna di esse, e le sensazioni che sono capaci di emanare e di evocare attraverso un espressionismo silente, completamente originale e irripetibile. Sembra inverosimile che, solo qualche generazione fa, queste creazioni fossero considerate il frutto di menti primitive, selvagge, rozze. Oggi, per fortuna, possiamo apprezzarle per la loro valenza artistica, alla stregua di tele come Les demoiselles d’Avignon (1907) di Pablo Picasso, dipinto che diede inizio al cubismo e che ha un debito con l’arte africana che sarà pienamente estinto solo quando verrà universalmente accettato che nell’incontro culturale tra la civiltà subsahariana e quell’europea è  stata quest’ultima a ricevere i maggiori benefici.

Alcuni viaggiatori curiosi ed attenti alle manifestazioni peculiari di genti e luoghi che visitano, anche con  temporanee residenze, prestano interesse alle manifestazioni e alla forme artistiche, musicali, poetiche e culturali dei paesi che li ospitano. Tra questi Attilio Aleotti che, provenendo da un territorio appenninico per lungo tempo considerato marginale e subalterno, ricerca ovunque va forme e manifestazioni culturali celate, sotterranee o inattuali e che presenta in questa esposizione – tra gli altri – alcuni dei pezzi della sua collezione.

La Redazione

 

Redazione l’Alba

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