“Il balcone di Golda” di William Gibson al “Parenti” di Milano
Operazione teatrale di due donne d’eccezione: Maria Rosaria Omaggio e Paola Gassman
Un ritratto vivido e appassionato di una donna che ha scritto la storia recente del conflitto in Medio Oriente. Uno spettacolo teatrale che auspica alla pace, alla risoluzione dei conflitti, a colmare le distanze tra la parola Shalom e Salam.
Si può fare teatro della memoria e teatro di impegno civile portando in scena la dimensione umana di un personaggio storico? Si può fare leva sulle passioni, i sentimenti e le fragilità di una donna per ricostruire le fasi storiche particolarmente delicate del conflitto in Medio Oriente? Sì, se la donna in questione è una delle figure più importanti della politica internazionale del ‘900, se sono state proprio le sue passioni e le sue fragilità a guidarne l’operato politico, e soprattutto se a condurre l’operazione teatrale sono due donne talentuose del palcoscenico italiano: Maria Rosaria Omaggio che ne cura la regia, e Paola Gassman che è la protagonista della pièce Il balcone di Golda, andato in scena al teatro “Franco Parenti” di Milano il 19 novembre.
Introdotto da una riflessione sull’ebraismo e sulla questione in medioriente dal giornalista Oscar Giannino, lo spettacolo ripercorre oltre mezzo secolo della storia recente attraverso il racconto in prima persona della statista israeliana.
Un viaggio nell’animo di Golda Meir, prima donna al comando del governo israeliano nel pieno di difficili crisi internazionali. In un monologo intenso, scritto dal drammaturgo americano William Gibson, e tradotto da Maria Rosaria Omaggio, che ha prodotto lo spettacolo e ne ha curato la regia. Una donna, ormai giunta alla maturità, racconta il proprio vissuto in un periodo storico difficile e in una terra logorata dai conflitti. Se il fisico, appesantito, e il volto, addolcito dalle rughe, ne rivelano l’età non più verde, la voce e il pathos nel raccontare gli episodi della propria vita denunciano una personalità combattiva, incapace di arrendersi. Così scorrono, in circa 90 minuti, i ricordi di un’esistenza iniziata ai confini della povertà, a Kiev, con un padre falegname e una madre casalinga. Un’infanzia scandita dalla miseria, dai pogrom, e dalla paura per i ripetuti atti di antisemitismo di cui è stata testimone, e l’ebraismo a fare da sfondo e da punto di riferimento costante. L’anticonformismo e la voglia di libertà durante l’adolescenza portano Golda a trasferirsi a Denver a casa della sorella. Inizia allora il periodo di fermento culturale, scandito da incontri con scrittori ed intellettuali dell’epoca, che fu alla base delle successive scelte politiche. Nel ricostruire un periodo storico particolarmente difficile per il conflitto israelo-palestinese, Golda trova spazio per confrontarsi con la propria natura di donna libera ed indipendente, con i sensi di colpa per aver trascurato i figli nel seguire la propria missione, e la nonchalance con cui ha, invece, intrattenuto relazioni extraconiugali, pur riservando un sincero affetto nei confronti del marito. Paola Gassman si muove con maestria su una scena essenziale, scandita da pochi elementi: due sedie, un tavolo che si apre in due balconi, e uno schermo su cui scorrono immagini (faticosamente ottenute) di archivi storici. Uno scenario spoglio e minimalista che ben si adatta alla personalità complessa eppure priva di orpelli di Golda, incarnata perfettamente dalla Gassman che, con la capacità della mimica, della gestualità e del movimento, ha portato sul palco il monologo intenso, drammatico e umano della grande statista.
Una nota di merito a parte merita la regia di Maria Rosaria Omaggio. Dalla scelta della scenografia, al gioco di luci realizzato con l’aiuto del proiettore, sul quale sono state trasmesse anche immagini di repertorio, alle musiche di Luis Bacalov in sottofondo, il lavoro di regia riesce a disegnare uno sfondo realistico e suggestivo del periodo storico, sottolineando la dimensione umana del dramma, attraverso la figura di Golda, ed infonde il messaggio denso di pathos di riconciliazione, di risoluzione dei conflitti.
Segue INTERVISTA alla regista Maria Rosaria Omaggio
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“Il balcone di Golda” di Gibson
Chiacchierata con la regista Maria Rosaria Omaggio
il tema della pièce è molto delicato e complesso, il conflitto in medio-oriente, perché la scelta di raccontarlo attraverso il personaggio di Golda Meir?
«Questa è in realtà una domanda da rivolgere all’autore. Io posso dire di aver scoperto questa pièce e, nonostante pensassi da subito che non era un ruolo adatto a me, ne ho chiesto i diritti. Racconta la storia di una delle donne più importanti del ‘900 e, vista la sua posizione, anche il contesto storico nel quale ha agito.»
Le musiche di Luis Bacalov conferiscono maggiore pathos allo spettacolo, evidenziando la tensione emotiva della protagonista e ricostruiscono l’atmosfera dell’epoca. Come è avvenuto l’incontro con le musiche di Bacalov?
«Conoscevo Luis già da prima del suo Oscar per Il postino e, sapendo che come Golda è un ebreo di origine russa, ho ritenuto fosse il compositore più adatto per questo testo. È stato disponibile e generoso.»
La scenografia è essenziale eppure molto suggestiva. Un tavolo, due sedie, uno schermo su cui scorrono immagini di repertorio o di archivi storici. Cosa ha determinato questa soluzione registica?
«A differenza dell’allestimento iperrealistico americano volevo sottolineare col colore grigio che siamo nella mente di Golda e con lei vediamo, nello schermo della sua memoria, i ricordi che narra. Inoltre, visto che sottolinea più volte di aver avuto due balconi – uno sul mare nella casa di Tel Aviv e l’altro, che dà il titolo, nella centrale nucleare di Dimona – ho immaginato che la scrivania si spaccasse a metà. Così come nella sua vita di donna (e di ogni donna!) ha dovuto dividersi tra l’impegno pubblico e gli affetti. Allo stesso modo la poltrona di casa diviene il podio di una conferenza, mentre la sedia dell’ufficio è anche il simbolo delle tante storiche telefonate.»
Il balcone di Golda è un monologo di William Gibson, drammaturgo americano di grande spessore, di cui lei ha curato anche la traduzione in italiano. Perché ha scelto (era anche questo il senso della prima domanda) il testo di Gibson e come è stato confrontarsi con la drammaturgia americana.
«Anzitutto perché è un magnifico testo e Gibson, come per il famosissimo Anna dei miracoli, si conferma anche qui ‘esperto di animi femminili’. Inoltre, perché ritengo che le donne storicamente importanti come la Meir debbano essere ricordate e, per i più giovani, addirittura rese note. Il testo non è affatto politico, ma storicamente ineccepibile. Infatti, ho faticato molto per trovare e ottenere solo immagini autentiche e contestuali a quanto rievocato. Un paio di esempi: il campo di Cipro, fatto poco noto, dove persino la foto di massa davanti alla quale la Meir parla è esattamente quella vera del 1947, ottenuta dallo Yad Vashem di Gerusalemme e restaurata al computer; il mare è proprio quello di Tel Aviv, girato con uno smartphone da un’amica che vive lì e rielaborata col mio tecnico.»
Lei non è nuova ai temi complessi, citiamo la sua interpretazione di Oriana Fallaci nel film Walesa di Andrzej Wajda, ancora in lavorazione e che aspettiamo in un importante festival nel 2013. Golda Meir e Oriana Fallaci, due donne e due mondi diversissimi, eppure un destino comune: lottare e portare avanti le proprie idee, la prima come statista, la seconda come giornalista.
«Gibson ha certamente attinto molte informazioni dalla celebre intervista che la Fallaci fece alla Meir a Gerusalemme nel 1972. L’abbiamo recitata con Paola Gassman nel “Festival internazionale di Letteratura ebraica” lo scorso 12 settembre, ma in parte l’avevamo già incisa per Radio Vaticana addirittura nel novembre 2011. Chi lo desidera può ascoltarla in podcast a questo link: http://it.radiovaticana.va/pef/articolo.asp?c=540487»
Il balcone di Golda si può inserire a pieno titolo nel filone di teatro civile e teatro della memoria. A suo parere il panorama teatrale italiano dovrebbe investire di più su questo genere?
«Il Teatro italiano dovrebbe investire di più “in” genere! Senza paragonarci con Londra, già basta dare un’occhiata ai cartelloni di Parigi, per non parlare di Varsavia. Il grande Maestro Wajda persino sul set non dimentica l’importanza delle sue esperienze teatrali. Flaiano diceva: “In teatro si ritrovano i simboli delle cose perdute di vista” ed è con questo spirito che lavoro e che ho messo in scena Il balcone di Golda.»
Golda Meir, oltre che come statista, era una donna molto avanti rispetto ai tempi. Episodi della sua vita mostrano come sia sempre emancipata, pur non rinunciando alla maternità. Sicuramente una figura fuori dal comune, però dispiace constatare che dopo tanti anni e tante battaglie il cammino per l’emancipazione femminile sia ancora lungo. Le donne hanno sempre meno potere, dalla politica al lavoro alla società. Non trova?
«È di emancipazione maschile che si deve parlare! Temo che nel nostro Paese si siano fatti molti passi indietro rispetto alle conquiste ottenute dalle nostre mamme. Alla luce dei fatti dovrei lamentare di non avere al fianco un uomo giusto per vedere più facilmente riconosciuti i miei sforzi e soprattutto per trovare agevolmente spazio e dunque vetrina ed eco a quanto faccio. Comunque, anche a passo di tartaruga e con molti sgambetti e furti, sono sempre qui e fiera di camminare con le mie gambe. E da quando avevo 16 anni un po’ di strada l’ho fatta.»
Grazie di avermi ospitato, attraverso l’Alba, al Teatro “Parenti” di Milano e di avermi concesso questa intervista: è stato un piacere immenso aver conversato con una grande del Teatro italiano.
«Grazie a lei della bella chiacchierata.».
Laura Timpanaro
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Sab, Nov 24, 2012
Eventi, Spettacolo