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“Il cappello di carta” di Clementi al “Brancati” di Catania

Mer, Nov 14, 2012

Eventi, Spettacolo

Riflessione storica sui bombardamenti di San Lorenzo a Roma nel 1943

Il cappello di carta, l’opera del contemporaneo Gianni Clementi, apre la nuova stagione 2012/2013 del Teatro Brancati di Catania; ne firma la regia Giuseppe Romani. Clementi è un autore estremamente apprezzato dal pubblico, tant’è che, in occasione della prima del 25 ottobre (nella quale lo scrittore ha assistito al debutto della produzione Teatro della Città), gli spettatori non gli hanno fatto di certo mancare i meritati applausi. D’altra parte il Brancati ha spesso messo in scena testi teatrali dell’autore romano, sempre attento a tematiche di vita vissuta e attuali. Questa volta, in modo particolare, il testo si presta ad una attenta riflessione storica: la scelta dell’autore è stata quella, non a caso, di ambientarlo nel 1943 durante i bombardamenti di San Lorenzo a Roma. Ma come in tutte le produzioni di Clementi non mancano anche ulteriori spunti di riflessione.

Trama.- Una famiglia d’immigrati allargata: il nonno Carlo (Tuccio Musumeci), un pensionato ex muratore, ha un carattere forte, alle volte fin troppo, che spesso è irriverente nei confronti della figlia Anna (Loredana Marino), vedova da anni e in cerca di marito. Il figlio Leone (Massimo Leggio) è invece sposato con Camilla (Olivia Spigarelli), la massaia di casa; Leone è un padre di famiglia dedito al lavoro: ha seguito le orme di suo padre, diventando muratore, e cerca di insegnare quello che può ad un figlio che non ne vuole sapere di fatica e duro lavoro. Candido (Claudio Musumeci) per l’appunto è un giovanotto che spera di far fortuna in altri modi, magari investendo dei soldi in un‘impresa, la quale però sembra destinata a fallire prima d’iniziare. Sua sorella Bianca (Laura Tornambene), come tutte le ragazzine della sua età, è alla ricerca dell’amore e non disdegna minimamente le attenzioni  di Remo (Josefia Forlì) che spesso bazzica in casa loro per poter vedere la sorella dell’amico.

La prosa di Clementi è estremamente attenta in questo caso alla lingua e ai suoi cambiamenti e anche gli attori riescono a renderlo bene sulla scena. Non dimentichiamo che il nonno e i suoi figli sono immigrati dalla Sicilia verso Roma e quindi, non è per nulla strano che l’anziano parli in vernacolo siciliano stretto, mentre i suoi figli e la nuora in un italiano fortemente popolare; al contrario la pronuncia di Candido e Bianca risente dell’influenza romana fino ad arrivare all’uso del dialetto romano da parte di Remo. Tutto questo rende non solo veritieri i dialoghi ma, ancora di più, la cornice storica nella quale i nostri personaggi si muovono.

Realistica risulta anche la scena di Riccardo Perricone: una grande cucina dove si svolgeranno i due atti; l’unica perplessità sorge a causa del fondale illuminato con una luce blu troppo intensa che, in alcuni casi, fa perdere la cognizione temporale della scena e spesso distoglie lo sguardo. Consoni, invece, al periodo storico i costumi di scena realizzati dalle Sorelle Rinaldi che delimitano lo scorrere del tempo, passando da abitini leggeri, a fiori e canottiere, a scialli e giacche. Molte le sbavature nei tableaux vivants, i quali segnano l’inizio di una scena dopo i bui, peculiarità del teatro di Clementi. Deliziosa la vivacità dei dialoghi della Spigarelli e di Leggio. Ciascun personaggio è curato nell’interpretazione con attenzione da parte dell’attore; travolgente risulta la simpatia di Forlì. Il mattatore di sempre resta Musumeci senior: il ruolo di nonno Carlo infatti appartiene alle sue corde; non mi è stata invece molto chiara l’eccessiva enfasi comica in alcuni passaggi, come per nell’episodio dei bombardamenti al cimitero.

La parola ha un impatto talmente forte che il supporto delle immagini, all’inizio del secondo atto, crea un effetto ridondante che si sarebbe perfettamente potuto evitare. Estremo equilibrio si raggiunge nel finale, ricco di simbolismi, quasi un passaggio di testimone dalla morte alla vita. Il gusto è certamente agrodolce ma non manca di lasciare sul volto dello spettatore un sorriso, prima di lasciare la poltrona.

Laura Cavallaro

Laura Cavallaro

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