“Da giovedì a giovedì” di De Benedetti a “L’Istrione” di Catania
Sentimenti di rivalsa e di libertà in mogli annoiate da mariti troppo distratti
Vivono nell’atmosfera ovattata del contesto familiare, si preoccupano solo di riviste di moda e uscite con le amiche; annoiate da mariti troppo distratti e allo stesso tempo avvolte in sin troppi finti sentimenti di rivalsa e libertà. Sono le donne raccontate dalla prosa teatrale dei “telefoni bianchi”, quella nata durante il Ventennio fascista dai dettami autarchici; poco impegnativa, la cui unica finalità era distogliere la platea italiana dalla produzione teatrale estera e dai fermenti avanguardisti di Silvio D’Amico. Un modo per svagare la borghesia cittadina, con equivoci e triangoli amorosi come i racconti fatti dal commediografo Aldo De Benedetti. Dopo il successo iniziale: La resa di Titì (1931), Non ti conosco più (1932) e Due dozzine di rose scarlatte (1936) a causa dell’emanazione delle leggi razziali – avendo origini ebree – gli vennero ben presto precluse le porte del teatro. Deciso a non lasciare l’Italia, De Benedetti continuò ad occuparsi esclusivamente di sceneggiature e dialoghi cinematografici evitando di far apparire il suo nome. Solo nel secondo dopoguerra riprese la collaborazione con il teatro, portando sulle scene opere come: Da giovedì agiovedì (1959) e Un giorno d’Aprile (1966), ma ormai il sistema della sua produzione era entrato in crisi. Le commedie che si susseguirono: Il Libertino, L’appuntamento d’amore, Paolo e i leoni furono recitate in lingua spagnola a Barcellona, Madrid e Mar del Plata. Il fallimento della sua carriera lo portò alla decisione di togliersi la vita il 19 gennaio del 1970. Purtroppo quella che fu per la nostra storia teatrale un passaggio fondamentale di inizio secolo, è stato per lungo tempo bistrattato dai cartelloni teatrali. Oggi il Teatro L’Istrione, una piccola realtà teatrale in crescita, gli restituisce nuova luce con l’opera in due atti Da giovedì a giovedì che apre la stagione 2012/2013, affidando la regia a Paolo Merlini che in maniera estremamente elegante ci ha letteralmente catapultati nell’atmosfera dei mitici anni ’60.
Nella loro bella casa, Adriana Guarnieri (Valeria Contadino) fantastica sull’amore, non trovando nel marito Paolo (Salvo Disca) le dovute attenzioni che cerca. Il signor Guarnieri è un uomo tutto d’un pezzo, un avvocato troppo impegnato per prestare interesse ai sentimenti, e fin troppo spesso asfissiato dalla presenza dell’euforica suocera Letizia (Vitalba Andrea) che, tra una canasta e una visita alla figlia, impartisce ordini anche alla cameriera di casa Guarnieri, Adele (Liliana Lo Furno). La situazione precipita quando si insinua in questo il sospetto, l’atroce dubbio che Adriana possa avere un amante; così in preda all’esasperazione decide di contattare l’agenzia di investigazioni di Stanislao Trombi (Valerio Santi) per fare pedinare la moglie durante la settimana, “da giovedì a giovedì” per l’appunto, in cui sarà in viaggio per alcuni affari. A quel punto del racconto s’innescherà tutta una serie di eventi che porteranno alla concretizzazione del timore e di un invaghimento da parte dell’ignara Adriana per Tito Lami (Francesco Russo), il segugio mandato dall’agenzia per pedinarla.
Il regista puntualizza che si tratta di una commedia, e che «tenerla leggera è stato il nostro impegno, insieme all’ironia non mancano spunti di riflessione sui tanti temi che troviamo tra le righe: dal perbenismo al vuoto che si nasconde dietro a vite apparentemente perfette, alla difficoltà di un uomo, come potrebbe essere chiunque di noi, che preso da mille impegni o forse da se stesso non si rende conto che la moglie sogna il grande amore e che quell’amore non è più lui.».
Gli attori hanno interpretato alla perfezione i propri ruoli, in linea con la direzione registica imboccata; deliziosi nei costumi curati da Rosy Bellomia. Perfettamente in grado di passare da un registro all’altro toccando corde serie ed altre più divertenti fino a raggiungere, in alcuni momenti, striature grottesche come quando Paolo riceve il resoconto del pedinamento e prima di aprire la busta inscena una pantomima comica o l’eccesiva prosopopea usata da una stupefacente Vitalba Andrea.
Il ritmo tra i due tempi è serrato, scandito da un jukebox di canzoni: da Ricordi delle sera del Quartetto Cetra a Ma che freddo fa di Nada passando per le struggenti melodie realizzate dal cantautore Mario Incudine. Intensi i dialoghi tra la Contadino e l’Andrea o quelli tra la prima e Russo, ironici invece quelli fra Disca e il camaleontico Santi nelle vesti di questo investigatore sui generis. Un’operazione teatrale estremamente interessante – che oltre a ridare dignità ad un autore come De Benedetti – con questo nuovo finale ha lo scopo di lasciare, quasi certamente, lo spettatore appagato ma allo stesso tempo con un monito: la riflessione su tematiche di grande attualità. Paolo come un moderno giuda bacia la moglie, atteggiamento estraneo al suo modo di fare, per cercare di smascherarla. Impiega le sue energie psichiche ed economiche per portare a compimento il suo piano, e sarà proprio questa la colpa più grande della quale si macchierà agli occhi della moglie e della suocera, la mancanza di fiducia e di rispetto. Avrebbe potuto sfruttare le sue energie per dimostrare i suoi sentimenti, invece ha optato per una strada diversa. Grande rivelazione Francesco Russo nei panni di Tito Lami che, come in un grande paradosso, diverrà la coscienza critica della situazione: stanco di un lavoro che lo ripugna, decide di mettere fine alla sceneggiata togliendo solo per un attimo la maschera di ipocrisia che ricopre i volti di questa ricca famiglia di borghesi annoiati.
Laura Cavallaro
Già sull’edizione cartacea de l’Alba. Vedi www.lalba.info – ottobre, 2012
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Ven, Nov 2, 2012
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