“Prometeo incatenato” di Eschilo al Teatro Antico di Siracusa
La forza della parola, del logos è tanto forte da eludere le catene di ferro
Si veste di moderno e di pop il Prometeo incatenato di Eschilo, ma se la scena ed i costumi strizzano l’occhio al contemporaneo, la regia di Claudio Longhi si muove sui canoni tradizionali.
L’azzurro che risalta nei costumi color carne del coro di Oceanine, Ermes in versione punk, e Io in veste post moderna, potrebbero fare pensare ad un allestimento fuori dai canoni tradizionali della tragedia di Eschilo. In realtà mentre le scene, curate da Rem Koolhaas, e i costumi, curati da Gianluca Sbicca, ammiccano al contemporaneo la regia di Claudio Longhi batte il terreno della tradizione. È stato questo l’ossimoro che ha caratterizzato l’allestimento del Prometeo incatenato, in scena al teatro antico di Siracusa, in occasione del 48° ciclo di rappresentazioni classiche, promosso dall’Istituto Nazionale del dramma Antico. Prometeo, il ladro del fuoco, colui che ha svelato agli effimeri i privilegi degli dei, fa il suo ingresso in scena incatenato ad una gabbia di ferro. Imponente e racchiuso in una custodia roteante, il dio, amato dagli uomini ed inviso a Zeus, interpretato da Massimo Popolizio, trascina la forza sottile e dirompente dell’intelligenza sulla scena. La forza della parola, del logos è tanto forte da eludere le catene di ferro che imprigionano Prometeo, il quale si muove continuamente e sapientemente sulla scena ora verso l’orchestra, ora verso il coro. E in questo moto continuo, incatenato tra le rupi di una terra desolata della Scizia, il prigioniero ribelle incontra i personaggi del dramma, creature cosmiche, immaginifiche o mostruose, che cercano di confortarlo: il Coro delle ninfe Oceanine, il titano Oceano, Io, la fanciulla amata da Zeus e tramutata in vacca per la gelosia di Era, costretta a vagare in un eterno viaggio per via di un assillo che la rende folle. A lei, Prometeo il veggente preannuncia le future peregrinazioni, la conquistata liberazione, la sorte della sua discendenza. Incontri che si susseguono fino all’epilogo: il titano sarà scagliato nell’abisso, insieme alla rupe cui è incatenato, per volontà di Zeus. Il potere della ragione viene raccontato con la forza del pathos. Una recitazione intensa e sofferta è stata, infatti, la cifra stilistica del Prometeo, firmato Claudio Longhi. Massimo Popolizio ha dato vita ad un titano forte come una roccia, ma con tratti di spiccata umanità. Intensa è stata l’interpretazione di Gaia Aprea, nel ruolo di Io, l’attrice ha dato saggio di notevoli capacità attoriali, ottima padronanza della scena e ampia partitura vocale. Non è stato da meno Jacopo Venturiero nel ruolo di Ermes. Buone anche le interpretazioni di Michele Dell’Utri nel ruolo della Violenza, di Gaetano Bruno in quello di Efesto, Massimo Nicolini, che ha dato volto al Potere, Daniela Giovanetti nei panni di una Corifea, e Mauro Avogadro, in quello di Oceano. Un plauso merita, inoltre, l’accompagnamento musicale, firmato da Andrea Piermartire, il gruppo di ballo della Martha Graham Dance Company diretto da Susan Eilber e la sezione di teatro “Giusto Monaco” dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico, e il coro, diretto da Elena Polic Greco.
Laura Timpanaro
Gio, Giu 21, 2012
Cultura, Primo Piano, Spettacolo