“Lucia di Lammermoor” di Donizetti al Teatro Massimo “Bellini” di Catania
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LUNGHI APPLAUSI A SCENA APERTA
Ovazioni continue; in particolare per Maria Grazia Schiavo (Lucia) e Francesco Demuro (Edgardo). La prima ha letteralmente estasiato coi suoi virtuosi gorgheggi di intimo e straziante dolore mentre il suo personaggio, da pazza, spirava; Il secondo è stato sempre raffinato, versatile e duttile nella variazione dei toni evidenziando, soprattutto nella meditazione del suicidio, la sua eccellenza canora.
di Pino Pesce
Non ci sono parole umane per descrivere le ineffabili emozioni e, ancor più, l’estasi sofferente delle note musicali della Lucia di Lammemoor di Gaetano Donizetti che si sta rappresentando (dal 19 al 27 maggio) al Teatro Massimo “Bellini” di Catania sotto la fatata bacchetta di Stefano Ranzani, chiaro nome della musica internazionale, e l’ottima regia di Giandomenico Vaccari che ha saputo cogliere, come egli stesso verga, «la summa degli umori romantici» precedenti al 1835, i quali, ne prende atto il regista, ben aveva saputo descrivere Salvadore Cammarano nella sua suggestiva poesia del libretto operistico che trae spunto dalla Sposa di Lammermoor di Walter Scott con filtro ossianico e shakespeariano. In merito a quest’ultimo, si pensi al casto e sventurato amore di Lucia ed Edgardo; la prima raccoglie in sé l’avverso destino di Giulietta, Ofelia e Desdemona; il secondo, ossessionato dal dubbio, quello di Amleto e Otello.
Al compositore bergamasco non sempre sono stati riconosciuti i suoi meriti; in particolare dai suoi colleghi attuali o vicini nel tempo che eppure (casi ristretti) qualcosa gliel’avevano rubato; in compenso ci sono stati però i glorificatori, come Hugo Wolf che, pur essendo molto tagliente verso la nostra musica, dichiara: «devo dire che, pur essendo fortemente ostile alla musica italiana, quest’opera mi è piuttosto piaciuta».
Oggi però tutti i teatri del mondo celebrano Donizetti come un Nume; così sta avvenendo a Catania, grazie in particolare ad un maestro che ha saputo risvegliare e guidare le virtù migliori di tutti i musicisti e di tutti i cantanti oltrepassando le aspettative.
Non per nulla le ovazioni (21 aprile 2024) sono state continue; in particolare per il soprano Maria Grazia Schiavo (Lucia) ed il tenore Francesco Demuro (Edgardo). La prima ha letteralmente estasiato il pubblico coi suoi virtuosi gorgheggi di intimo e straziante dolore mentre il suo personaggio, da pazza, spirava; Il secondo è stato sempre raffinato, versatile e duttile nella variazione dei toni evidenziando, soprattutto nella meditazione del suicidio, la sua eccellenza canora. E quanta armonia ed intensità di colore e di calore contrastati nel duetto Lucia-Edigardo alla ”Fontana della Sirena”. Un fraseggio musicale che per espressività riportava ai grandi duetti della lirica; azzarderei ricordando Maria Callas e Giuseppe Di Stefano?
Anche Christian Federici (Lord Enrico Ashton) ha ben onorato la sua voce di baritono con tonalità drammatiche e tenebrose che ben si attagliavano all’indole oscura del suo personaggio.
Ma Tutti gli artisti hanno tenuto alto il loro ruolo; da Claudia Ceraulo (Alisa) a Marco Puggioni (Lord Arturo Bucklaw), da Nicola Pamio (Normanno) a George Andguladze (Raimondo, il pastore, padre spirituale di Lucia).
Un plauso di professionale competenza va al costumista-scenografo-videomakerAlfredo Troisi, ma lodevoli anche l’assistente ai costumi Giovanna Giorgianni, l’assistente alla regia Alessandro Idonea, il datore di luci Antonio Alario, il direttore degli allestimenti scenici Arcangelo Mazza e l’allestimento del teatro “G. Verdi” di Salerno.
Encomio speciale all’orchestra del “Bellini” diretta dal maestro Ranzani e al coro dello stesso Teatro diretto dal maestro Luigi Petrozziello.
Altamente suggestiva la scenografia prevalentemente in videoproiezione: dalla iniziale rovinosa torre del castello di Ravenswood e successivi fontana e bosco, mentre si sta cacciando, alle rovine della torre di Wolferag e tombe dei Ravenswood, passando dagli appartamenti di Lord Ashton, le scene sono invase da un minaccioso cielo di fosche nubi, fino al color sangue verso il tragico finale sotto la neve.
La neve (pioggia nel libretto) della brumosa Scozia intensifica l’angosciante dolore della tragica vicenda di Lucia e di Edgardo di Ravenswood, amanti osteggiati dal fratello di lei, Enrico Ashton, che, già usurpatore dei beni del giovane nobile, gli è mortalmente nemico e pertanto impone alla sorella di sposare Lord Arturo Buckalaw, il quale, a nozze fatte, lo avrebbe salvato dal tracollo del proprio casato non favorito dalle lotte politiche che stavano sconvolgendo il regno scozzese nella seconda metà del XVI secolo.
Lettere di Edgardo all’amata, intercettate e nascoste, un’altra falsa per allontanare la giovane dall’amato, favoriscono (per le mene di Normanno) il matrimonio fra Arturo e Lucia che sarà di luttuoso epilogo. La sventurata sposa, infatti, odiata dall’ingannato innamorato che si convince della sua infedeltà, in preda alla follia, uccide l’imposto sposo e, subito, muore di crepacuore. La tragedia non si ferma qui: Edgardo, saputo dell’innocente fine di Lucia, colpito da disperato amore, nefastamente supplichevole, si trafigge con un pugnale il cuore: «Se divisi fummo in terra,/ ne congiunga il Nume in ciel.» Sono gli ultimi due disperati e strazianti versi della cabaletta «Tu che a Dio spiegasti l’ali».
La commozione tocca il culmine all’apparire, nel corridoio centrale della sala, del fantasma insanguinato di Lucia che chiama Edgardo alle eterne aure mentre in scena Edgardo giace esanime, Raimondo implora Dio di perdonare lo sventurato amante e il coro, anch’esso implorante, congeda nello sbigottimento totale il pubblico: «Quale orror! Quale orror!/ Oh tremendo, oh nero fato!/ Dio, perdona tanto orror!»
Scrosciano gli applausi a spella mani; si grida “bravi!”… Ultime forti emozioni, anche di lacrime che significar per verba non si poria.
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Gio, Apr 25, 2024
Primo Piano, Spettacolo