“Turandot” di Puccini al Teatro Massimo “Bellini” di Catania
DAL 12 al 20 GENNAIO 2024
L’opera si muove fra due poli: l’amore e la morte, due forze della vita che si attraggono e si respingono fino al trionfo totale dell’Amore che restituisce speranza all’umanità. Daniela Schillaci non si è smentita nel ruolo di Turandot.
di Pino Pesce
Non c’era miglior modo per il Teatro Massimo “Bellini” di Catania se non quello di aprire la stagione lirica e dei balletti con Turandot, opera immensa dell’immenso Giacomo Puccini del quale, nell’anno in corso, si celebrerà (29/11/1924) il centesimo anniversario della scomparsa.
La regia è stata affidata ad Alfonso Signorini che l’ha rimaneggiata nell’innovazione con fedeltà alla tradizione ed, in particolare, al maestro lucchese: «La mia regia» sottolinea il poliedrico regista «è al servizio della musica, nel rispetto della drammaturgia pucciniana che ha in gran rispetto l’arte dello spettacolo; per cui non sarà la Turandot di Signorini ma di Giacomo Puccini; poi ci saranno giustamente le mie suggestioni, come nella figura di Liù che sarà centrale, il suo sacrificio è infatti il fulcro che trasforma Turandot in una donna passionale»
La centralità di Liù, ci farebbe accettare l’aver suggerito a Calaf lo scioglimento del terzo enigma e, dopo la sua morte, l’apparizione a Turandot del fantasma della sua antica antenata, anche perché con forte suggestione fino all’irrazionale, nell’ava si potrebbe vedere il fantasma di Liù che rimane nella barella di morte fino alla chiusura del terzo sipario.
Eccellente l’orchestra diretta dall’agile bacchetta del maestro Eckerard Stier che si compiaceva nel richiamare tenue tonalità cinesi in antitesi con momenti di entusiasmante fanfara che spesso sovrastava il canto ma senza disarcionarlo. Per fortuna i lirici sapevano imporsi al volo degli ottoni. Daniela Schillaci non si è smentita nel ruolo di Turandot. Ha dimostrato maturità canora esprimendo sonorità limpide di puro e delicato cristallo anche quando si spingeva in ricercati acuti.
Ottimo anche il messinese Angelo Villari (Calaf) dalla vocalità chiara, potente ed intensa; attento agli accenti forti per non farsi sovrastare dagli ottoni spinti da Stier. Applausi senza risparmio quando il tenore esegue con accorata e veemente passione “Nessun dorma”.
Brava anche Elisa Balbo, vocalmente limpida, autorevole e delicata; in scena costantemente umana e drammatica, in particolare quando esprimeva il frustrato amore: «Si, Principessa, ascoltami!/ Tu che di gel sei cinta,/ da tanta fiamma vinta, l’amerai anche tu! Prima di questa aurora io chiudo stanca/ gli occhi/… Per non vederlo più!»
Ben accolte dal pubblico anche le tre maschere Ping, Pong e Pang, tre ministri della corte pechinese, interpretate da Vincenzo Taormina, Saverio Pugliese e Blagoj Nacoski. Acclamati anche il vecchio Timur nelle vesti del re dei tartari (George Andguladze), Altoum, imperatore della Cina (Mario Bolognesi) e il mandarino (Tiziano Rosati).
Convincente è stato il Coro di voci bianche e interscolastico Vincenzo Bellini diretto da Daniela Giambra; sempre apprezzato il Coro stabile del Bellini guidato da Luigi Petrozziello.
L’allestimento è stato del Festival Pucciniano di Torre del lago e dell’Opera nazionale Georgiana di Tblisi
L’opera si muove fra due poli: l’amore e la morte, due forze della vita che si attraggono e si respingono fino al trionfo totale dell’Amore che restituisce speranza all’umanità, la quale sembrava averla persa nella crudeltà del popolo assetato di sangue; quello blu dei principi che si contendevano la bella quanto algida principessa Turadot, figlia dell’imperatore cinese Altoum. La principessa, soggetto della favolistica persiana ripresa da Carlo Gozzi, entusiasma Giuseppe Adami e Renato Simoni che ne fanno un libretto in tre atti e cinque quadri su commissione del compositore lucchese.
Siamo a Pechino, un mandarino con un editto annuncia, per volontà di Turandot, che la stessa sposerà il principe il quale risolverà tre indovinelli; costui però se non saprà risolverli verrà decapitato. Così per la misandria della principessa, che deriva da un torto subito da una sua antenata («No, mai nessun m’avrà! Dell’ava lo strazio non si rinnoverà!»), cadono 12 teste sotto la scure del boia. Ultima a cadere sarà quella del principe di Persia per il quale la folla chiede inutilmente clemenza. Sarà Calaf, figlio di Timur, re dei tartari spodestato, ad indovinare i tre enigmi. Turandot è disperata, ma il principe Calaf, sinceramente innamorato, le concederà una possibilità: se la regale fanciulla indovinerà il suo nome prima dell’alba, egli sacrificherà la propria vita. Quindi tutto il popolo, in testa i tre ministri Ping, Pong e Pang, su ordine della principessa, resterà sveglio durante la notte per scoprire il nome del pretendente straniero. Niente da fare! Liù, la fedele schiava del re tartaro sa di Calaf, sa ma non parlerebbe nemmeno sotto tortura. E, per non correrne il rischio (siamo dopo la toccante e melodiosa romanza “Nessun dorma”), si dà la morte col pugnale di una guardia imperiale.
A questo punto, mancava poco al finale musicale, per la malattia e poi per la morte del Maestro, s’interrompe la creazione pucciniana sulla quale s’è fatta troppa fantasticata letteratura, anche sui suoi supplitori. Di questi ultimi, il conduttore del Grande Fratello preferisce il più moderno: Luciano Berio che disgela le vecchie note musicali e le adatta alla modernità con un linguaggio che tocca il vertice (ma quanto di Signorini c’è?!) nel duetto in contrappunto Villari-Schillaci scorrendo verso una sfumatura orchestrale che piange Liù su un’aurora di speranza (già annunciata dal candido abito a coda di pavone della principessa) e d’amore, vincendo la luna di Turandot, generatrice di morte.
«E’ l’alba Turandot tramonta!»; Calaf: «E’ l’alba! E amore nasce col sole!». La principessa, l’umanità rinascono nell’Amore!
Poesia drammatica e tragica della vita che si conclude felicemente per i due protagonisti quasi a rigenerarsi, come in un antico rito, nel sacrificio di Liù, in compenso glorificata in eterno nell’atto sacerdotale di Turandot che le depone il suo diadema accanto al capo spento.
Le foto sono di Giacomo Orlando
Tags: Angelo Villari (tenore), Daniela Schillaci (soprano), Eckehard Stier, Elisa Blanco (soprano), Giacomo Puccini, pino pesce, Teatro Massimo Bellini di Catania, Turandot di Giacomo Puccini
Ven, Gen 19, 2024
Spettacolo