“La musica attraversa Dante” nella chiesa di San Biagio di Catania
CONFERENZA DELLA S.C.A.M.
Relatore la professoressa Anna Rita Fontana, presidente e direttore artistico della Società Catanese Amici della Musica; lettore di alcuni canti danteschi l’attore Antonio Caruso. La serata è stata arricchita dalla videoproiezione di brani musicali.
di Anita Greco
Si è svolta di recente, nel Salone della chiesa di San Biagio in Sant’Agata La Fornace, a piazza Stesicoro, una conferenza in omaggio ai 700 anni dalla morte del Sommo Poeta, dal titolo “La musica attraversa Dante”, promossa dalla Società Catanese Amici della Musica. Relatore la professoressa Anna Rita Fontana, presidente e direttore artistico dell’associazione, a fianco dell’attore Antonio Caruso che ha declamato alcuni canti della Divina Commedia, inframezzati dalla videoproiezione di brani musicali.
Oggetto della relazione è stata principalmente l’opera “Francesca da Rimini” del compositore alto atesino Riccardo Zandonai (nato a Rovereto nel 1883), tratta dall’omonima tragedia di Gabriele D’Annunzio (su libretto di Tito Ricordi), il quale attinge l’episodio dal quinto canto dell’Inferno dantesco. La relatrice ha posto l’accento sullo stile che Zandonai dispiega nel corso dell’opera, conferendo un bel rilievo alle figure dei protagonisti, Francesca, figlia di Guido I da Polenta e il cognato Paolo Malatesta, detto il Bello, delle rispettive casate di Ravenna e Rimini, le due città dove l’opera è ambientata: uno stile incisivo, nel quale convergono molteplici impronte, dalla vocalità spinta del verismo di Mascagni alla corposità del linguaggio wagneriano con marcati accenti strumentali nell’orchestrazione, dalla solidità dell’idioma sinfonico tedesco di Bruckner e Mahler (senza escludere Brahms) alle sottigliezze impressionistiche di Debussy e del cromatismo francese di Massenet.
Le figure di Paolo e Francesca, si distinguono per garbo e signorilità – ha evidenziato la Fontana – in un contesto dove si colgono altresì violenza e sopraffazione, i cui emblemi sono Giovanni detto Gianciotto, marito di Francesca, figlio deforme di Malatesta da Verrucchio, e il fratello Malatestino, che, invaghitosi anch’egli della cognata ma da lei rifiutato, svelerà al fratello la tresca dei due amanti. Un’espansione lirica crescente, che, corredata dalla ricchezza poetica del testo dannunziano, con riferimenti musicali ed effetti di sinestesia tra profumi e colori, secondo la relatrice, si dispiega con toni avvolgenti nell’opera di Zandonai (ridotta a quattro atti da Tito Ricordi rispetto ai cinque di D’Annunzio) sin dal primo incontro dei due protagonisti, come si evince dai brani che si sono susseguiti, ovvero “Per la terra di Maggio”, vero e proprio idillio d’amore, fatto solo di sguardi, a conclusione dell’atto I; “E galeotto dice” e “Vieni, vieni Francesca” (rispettivamente dal 3° e 4° atto), attraverso la forbita vocalità di Renata Scotto, soprano, e Placido Domingo, tenore, sotto la direzione di James Levine, da un’interpretazione del Metropolitan Opera di New York.
Ad arricchire gli ascolti, un omaggio alla dizione cristallina di Mario Del Monaco in coppia con l’eccellente soprano piemontese Magda Olivero in “Benvenuto Signore, mio cognato” (atto III). L’attore con voce stentorea ha declamato il quinto canto dell’Inferno, intriso del cupo girone dei lussuriosi, proseguendo col terzo, quest’ultimo dopo un estratto dal primo tempo della Dante Symphony, di Franz Liszt: opera rappresentata a Dresda nel 1857, che l’autore ha distribuito in tre parti, sostituendo la cantica del Paradiso con un suggestivo Magnificat per voci femminili e orchestra, come gli aveva suggerito Richard Wagner, dedicatario dell’opera. Seguiva dunque, correlata a quest’ultima e all’ascolto del Larghetto angelico (Paradiso) dalla Sinfonia “Dante” di Giovanni Pacini, la lettura del trentatreesimo canto del Paradiso, nella cui bellezza Caruso si compenetrava suscitando i convinti applausi della platea.
La relatrice ha posto in rilievo la leggiadria dell’intervento pianistico che il musicista introduce in un contesto sinfonico abbellito dalla leggerezza del pizzicato degli archi, quale preludio al cullante melodizzare che caratterizza il terzo movimento sinfonico di Pacini.
La Fontana infine si è soffermata sulla spiritualità che promana dalla simbiosi tra le arti e che traspare anche dal monito dantesco del 26° canto dell’Inferno «…fatti non foste per viver come bruti, ma per seguire virtute e canoscenza.», chiosando la serata con una citazione tratta dalla Lettera agli artisti del 4 aprile 1999, di Giovanni Paolo II «…la vostra arte contribuisca all’affermarsi di una bellezza autentica che, quasi riverbero dello Spirito di Dio, trasfiguri la materia, aprendo gli animi al senso dell’eterno.»
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Sab, Nov 20, 2021
Spettacolo