“Il flauto magico” al Teatro Massimo “Bellini” di Catania
LA POTENZA DELLA MUSICA COME VIATICO NELL’OSCURA NOTTE DELLA MORTE
Al Bellini di Catania il 20 gennaio è andata in scena la prima dell’opera di W. A. Mozart Il flauto magico che inaugura la nuova stagione lirica.
L’opera – 2 atti su libretto di E. Schikanader – diretta dal maestro Gelmetti, con la regia, le scene i costumi di Pierre Luigi Pizzi, è stata applauditissima, sia per la bravura dei cantanti protagonisti che per la rigorosa ed equilibratissima direzione del maestro.
Accostiamoci adesso all’opera a partire dal plot per poi capire meglio il significato profondo e simbolico degli elementi che la costituiscono.
L’azione si svolge in un immaginario antico Egitto: il Gran sacerdote della dea Iside, Sarastro, tiene nel proprio palazzo Pamina, figlia della Regina della notte, per sottrarla alla sua malvagia influenza, facendola custodire dal moro Monostatos; la regina, persuade il giovane principe Tamino, smarritosi nel suo reame durante una battuta di caccia, a liberare la figlia; al principe viene dato un flauto magico che gli sarà d’aiuto nella sua missione e per compagno Papageno, un curioso uccellatore, munito a sua volta di un carillon fatato.
Quando Tamino apprende che Sarastro non è il crudele mago che gli hanno fatto credere, bensì il Gran sacerdote del tempio della Saggezza e che il genio del male è la regina, volentieri si sottomette alle prove necessarie per essere ammesso al Sacro Collegio e poter liberare la principessa Pamina.
I due giovani, grazie al flauto, passano indenni le prove del silenzio, del fuoco e dell’acqua; i raggi del sole dissolvono le tenebre ed illuminano il cammino verso la felicità della coppia, mentre tutti si uniscono nella preghiera ad Iside ed Osiride.
Nell’edizione etnea i personaggi si muovono in una foresta trasformata in immensa biblioteca e Tamino è una sorta di Faust nel suo studio tappezzato di libri.
Ridotta all’essenziale dal regista Pizzi, che ne cura anche le scene e i costumi dopo numerosi allestimenti in altri teatri d’Italia, l’opera approda, in collaborazione col direttore Gelmetti, al Bellini di Catania.
Trattandosi di una fiaba universale, fuori dal tempo, la storia è rappresentata in abiti moderni: per Pamina e Tamino rigorosamente bianchi tali da far pensare ai protagonisti del film Il giardino dei Finzi Contini.
Tamino che viene rappresentato come un novello Faust, curioso e sempre alla ricerca della conoscenza, si imbatte in un serpente, mandato dalle tre dame, che altro non è che un pretesto per prendersi il merito di averlo ucciso. Durante la scena, le dame si comportano con lui in maniera aggressiva con manifestazioni di tipo erotico; quando si sveglia dallo svenimento, Tamino deve fare i conti con personaggi che non appartengono al suo mondo, a cominciare da Papageno – né uomo né uccello – che rappresenta la parte volgare ed animalesca dell’uomo dotato, però, di sentimenti elementari ed istintivi .
Una volta entrati nel tempio, Tamino e Papageno, assisteranno ad un rituale massonico, con la volontà di inculcare l’idea del bene come valore da conquistare.
Nota interessante è come la fiaba sia collocata ai tempi di Istagram, in quanto l’immagine di Pamina arriva a Tamino su un i-phone; bisogna inoltre mettere in risalto il ruolo della regina della notte – il soprano Eleonora Bellocci – soprano di coloratura, che raggiunge livelli stratosferici di bravura nella sua interpretazione e quello di Sarastro – il basso Karl Huml – , ieratico ed aristocratico Gran sacerdote del tempio.
Quest’opera, allegorica ed enigmatica, offre una pluralità di piani e chiavi di lettura: dalla semplicità disarmate della fiaba, dove si fronteggiano il bene e il male, sino all’intrigo di significati simbolici più o meno oscuri, riservati ad una cerchia di iniziati appartenenti alla massoneria, delle cui idee l’opera è sostanziata.
Mozart costruisce l’opera, ricca di violenti contrasti, su un racconto magico che include indovinelli, scherzi, giochi, e che pretende al tempo stesso di rappresentare un cammino iniziatico con ingenue cerimonie e rituali; forse in nessun altro dei suoi lavori possiamo apprezzare una compresenza di motivi e stili differenti come nel flauto magico.
A cosa mira Il flauto magico? Dove vuole portare quest’opera misteriosa che è simultaneamente semplice e complessa, che contiene musica popolare ed accessibile e nelle stesso tempo saggia ed elaborata? Come nei migliori romanzi gialli, la risposta si trova sotto gli occhi di tutti; il significato di questa musica composta dal più grande musicista mai esistito, in fin di vita, è reso esplicito dagli stessi personaggi: Pamina e Tamino nel secondo atto, prima di affrontare le prove iniziatiche, per far fronte a tali sfide che implicano il rischio della loro stessa vita, non possono contare su nessun’altra arma e protezione che l’amore che essi provano l’un per l’altro ed un flauto: « camminiamo grazie alla potenza della musica attraverso l’oscura notte della morte», questo è il vero e definitivo senso di un’opera creata da un uomo, un musicista che si stava avvicinando alla propria ora fatale; e forse questo è anche il senso ultimo di tutta l’opera di W. A. Mozart.
Può una musica aspirare ad un fine più nobile di quello di dare consolazione, di liberare dall’angoscia e di aiutarci, grazie al suo immenso potere ad attraversare lieti l’oscura notte della morte?
Nella Fragalà
Tags: direttore Gelmetti, Il flauto Magico, regia Pierre Luigi Pizzi, Teatro Massimo Bellini di Catania, W. A. Mozart
Dom, Gen 27, 2019
Spettacolo, Teatro