“L’uomo dal fiore in bocca” di Pirandello al “Mandela” di Misterbianco
Originale rivisitazione di Pino Pesce fra videoproiezioni, teatro-danza e allegorie del tempo
Matinèe d’eccezione: di teatro e di scuola, il 15 gennaio scorso all’Auditorium “Mandela” di Misterbianco. In scena (magistralmente presentato da Roberto Fatuzzo a studenti e docenti) L’Uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello, dietro la regia e l’adattamento-testo di Pino Pesce, al suo rinnovato esordio come regista di teatro.
Il lavoro è stato fortemente voluto dall’assessore alla P. I, prof. Santo Mancuso e sostenuto dal sindaco Nino Di Guardo, i quali, entusiasti, lo hanno applaudito in tutte e due le recite mattutine e richiesto per il pubblico cittadino la sera del prossimo 4 marzo.
Il neo regista, dopo l’esperienza del 2015, sempre con la stessapièce, ha stavolta voluto continuare la sua “avventura” con un compagno d’eccezione: Mario Opinato, “L’uomo dal fiore in bocca” che ha avuto una buona spalla: Tony Pasqua, “L’avventore”, già reduce della scorsa esperienza. Brave e sorprendenti le due ballerine: Luisa Ippodrino e Rossana Scinà, interpreti di due personaggi creati da Pesce: “l’Allegoria della vita e del tempo” (la prima) e “l’Allegoria del trapasso” (la seconda). Autorevole presenza, ma solo con la sua suggestiva voce fuori campo, il noto attore palermitano Pino Caruso. In scena invece, dietro un bianco velo, il maestro Elisa Russo compositrice ed esecutrice al piano elettrico delle stupende musiche. Il tutto fra proezioni dei videomaker: Emy Mastroeni, Dalila Romeo, Vincenzo Santonocito e la direzione di scena di Alga Pesce.
Il dramma, tra i più significativi della produzione teatrale dello scrittore agrigentino, riletto da Pino Pesce, pur rimanendo inalterato nell’impianto del testo, si avvale delle “integrazioni” di bellissime proiezioni scenografiche e dell’accattivante danza sulle allegorie della vita, del tempo e del trapasso, suggestivamente rappresentate, in particolare, attraverso il mito classico delle tre parche.
Quella mattina, a tanti, c’è sembrato di scorgere Luigi Pirandello, aggirarsi, tra il serio e il divertito, tra il poderoso palco del “Mandela” e le leggiadre movenze danzate, la “genuina” voce di Pino Caruso e il “timbro mimico” e possente di Mario Opinato. E in quella nuova poetica registica, il drammaturgo di Girgenti, con il suo profondo senso della vita, sembrava vacillare ma per restare attaccato «come un rampicante attorno alle sbarre d’una cancellata». Ma c’era soprattutto un personaggio, come uno di noi, che, prima vigoroso e pieno di vita, «sa di dover morire di cancro fra non molto. Sembrava non preoccuparsene, ma non è stato così; cercava infatti la vita con “l’immaginazione”». E la cercava nella vita degli altri, degli sconosciuti, come in quella dell’oscuro “avventore”. Risulta che «La vita è simile alle “buone albicocche” che vanno mangiate succhiandole». E la vita vale la pena sempre d’essere vissuta, anche quando sembra una «triste buffonata», «perché fatalmente “abbiamo in noi la necessità di ingannare noi stessi”». Ed è un inganno ineluttabile!
Appassionante è stata la descrizione dei commessi che avvolgono la stoffa per i clienti, osservati per ore; avvincente il dialogo attorno alle sedie del salotto d’un medico di provincia che non sanno chi sia il proprio occupante e di quale male egli soffra. E la vita? un fluire nel nulla, un correre a perdifiato, una corsa nel vuoto! O chissà!?
E se si desse senso al non senso pirandelliano, immaginando una possibile rinascita, una nuova via d’uscita, dopo il trapasso, che dia proprio consistenza ai ragionamenti paradossali, legati soltanto al mondo sensibile!? E se “l’altro da sé” andasse oltre l’“uno, nessuno e centomila” (la chiusa dell’omonimo romanzo apre lo spettacolo teatrale) della vita sensibile e fosse invece unità, senso di un’altra vita? In questi interrogativi l’adattamento di Pesce che si è anche servito della novella Di sera, un geranio(con l’allettante voce fuori campo del grande Caruso), dove il fiore del titolo diventa un papavero (simbolo del “sonno” e del “sogno”) per tratteggiare il cupo pessimismo pirandelliano e andare oltre…
Rivive così il protagonista che si rincontra, allo stesso bar, con l’avventore. Da qui la domanda di chiusura senza certezza: «Non c’è un segreto filo che porta alla Verità Assoluta!?? No!, cari Signori, non è dato saperlo né a voi né a me!»
Il regista vuole però aprire alla speranza e al conforto e si affida alle mistiche note dell’organo di Elisa Russo che corrono verso il cielo!
Angelo Battiato
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Gio, Mar 10, 2016
Spettacolo