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Il biblico “Cantico dei cantici” tradotto in siciliano da Angelo Battiato

Ven, Feb 12, 2016

Cultura

Il libro sostanzialmente erotico è stato definito”sacro” ed inserito nella “Bibbia”

Il biblico Cantico dei Cantici (probabilmente scritto dopo il sec. IV a. C.) attraverso i secoli è stato oggetto di lunghe indagini, analisi, commenti; e ciò per vari motivi: la data di composizione, l’autore effettivo al di là del presunto Salomone, la struttura, il contenuto, le allegorie, le finalità. In particolare ha meravigliato il fatto che un libro sostanzialmente erotico possa essere stato definito “sacro” ed inserito nella Bibbia. Ora ad esso ha dedicato un notevole impegno Angelo Battiato, docente nelle scuole secondarie superiori e studioso di cultura locale, il quale ne ha anche eseguito una traduzione in dialetto siciliano nel suo libroCanticu di’ Cantici (Le farfalle, Valverde, 2012, pp. 86, € 10). Ma, oltre che per la traduzione, il lavoro appare interessante per la cospicua introduzione, nella quale l’autore affronta tutta la problematica relativa al Cantico.

Premesso che egli s’è letteralmente innamorato di questoCantico, tanto da farne il compagno dei suoi viaggi per l’Italia, da impararlo a memoria, da recitarlo in varie occasioni ancorché soltanto per sé stesso e da trovare in esso il mezzo più idoneo alla ricerca dell’assoluto, il Battiato s’è fatto carico di risolvere tutte le questioni ad esso connesse e specialmente quella della sua discussa “sacralità”. Dopo aver notato che questo Cantico era usato dagli ebrei per Pasqua come inno della fecondità, com’era usato nelle feste di nozze ebraiche e cristiane, in definitiva egli vede in esso un aspetto dell’amore per il prossimo insegnato da Gesù, amore inteso in modo totalizzante, cioè carnale e spirituale insieme.

Per il Battiato l’amore di coppia è una comunione dell’uno con l’altra e una partecipazione della divinità: l’erotismo, il possesso e il godimento reciproco vogliono essere un’anticipazione del gaudio celeste, tanto che lo sfinimento dopo l’atto sessuale diventa una specie d’estasi divina, pari a quella provata da certi santi. Al riguardo si può aggiungere che Veniero Scarselli aveva supposto la visione beatifica di Dio avuta da Dante nell’Empireo come la metafora d’un orgasmo sessuale dopo una travagliata relazione d’amore: ipotesi che a suo tempo ha suscitato grande scalpore. (Per questo cfr. Gianna Sallustio, Oltre le Colonne d’Ercole: Veniero Scarselli e la poetica dell’esplorazione, Ursini, Catanzaro, 1998.)

Quindi quella del Battiato, sebbene azzardata, certamente è una tesi originale e meritevole d’attenzione.

Nelle conclusioni del Battiato il Cantico diventa indice dell’amore di Dio per l’uomo: la sessualità/sensualità umana implica l’amore completo, ripetiamo carnale e spirituale insieme, che si sublima poi in amore per Dio e per il prossimo. E il Battiato afferma: “Solo con l’amore umano pregustiamo la dolcezza infinita del paradiso”, così che il Cantico dei Cantici viene visto come “La chiave di volta della Parola di Dio, della Bibbia”. Ecco perché, come osserva ancora il Battiato, “i mistici, in modo particolare, sono attratti dalle pagine del sacro poema che narrano dei notturni, dei silenzi, delle lontananze, di immagini che sembrano inspiegabili ad occhio nudo”.

La traduzione in dialetto siciliano con testo italiano a fronte, poi, rivela l’attaccamento del Battiato alla sua lingua natia, di cui egli stesso in varie opere s’è fatto difensore e divulgatore, nella convinzione che nessun altro idioma se non quello natio possa esprimere sentimenti, passioni, esperienze e aneliti così forti. Perciò essa si configura come un tentativo di far proprio e trasferire nella propria intimità, oltre che nel proprio registro linguistico, qualcosa che profondamente colpisce e coinvolge, fino a diventare norma di vita presente e speranza di salvezza futura.

L’autore-traduttore ha usato un dialetto genuino, arcaico e scevro d’infiltrazioni della lingua nazionale, nella speranza che la sua traduzione possa essere gustata appieno dai suoi compaesani, dato che ogni dialetto per sua natura è diverso non soltanto da regione a regione ma anche da comune a comune.

In considerazione dei pregi, a parte la modestia grafico-editoriale del volumetto (che ad ogni modo non incide sulla validità del contenuto), passano in secondo piano le improprietà lessicali che talora rendono poco chiaro il contesto, le sviste di vario tipo e la punteggiatura sovrabbondante di virgole (spesso usate con funzione di segni più consistenti), la quale frammenta il testo.

Carmelo Ciccia

Carmelo Ciccia

Nato a Paternò, dopo la laurea in lettere a Catania e un periodo d’assistentato universitario e d’insegnamento liceale in quest’ultima città, si è trasferito nel Veneto, dove è stato docente e preside, per molti anni nel liceo classico di Conegliano (TV), città in cui risiede e in cui svolge varie attività culturali. Ha pubblicato una ventina di libri e una quarantina di opuscoli ed estratti, anche in latino, quasi tutti di saggistica e di critica letteraria, principalmente su Dante, ma anche su altri scrittori. Collabora a numerosi giornali e riviste con articoli e recensioni (oltre un migliaio quelli finora pubblicati) ed ha ottenuto vari riconoscimenti, fra cui alcuni primi premi, premi della cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, concessa dal Presidente della Repubblica, e la medaglia d’oro della città di Conegliano, concessa dal sindaco. Nel 2005 è stato invitato al Quirinale dal presidente Ciampi.

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