Carmelo Ciccia commenta il III canto del Purgatorio
Pubblico folto e qualificato nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria di Paternò
L’8 gennaio , nella chiesa di Santa Caterina a Paternò, organizzata dalla FIDAPA cittadina, ha avuto luogo la conferenza “L’onore di Sicilia e d’Aragona secondo Dante”, tenuta dal prof. Carmelo Ciccia, paternese di nascita ma residente a Conegliano, nel Veneto, da oltre cinquant’anni, scrittore, saggista e critico letterario di chiara fama, nonché autorevole dantista, in quanto autore di vari saggi su Dante e relatore in numerose conferenze e letture dantesche in Italia e all’estero.
L’incontro culturale, che si è svolto alla presenza di un numeroso e qualificato pubblico, è stato cordinato dalla prof.ssa Maria Virgillito Auteri, presidente della FIDAPA e introdotto dal prof. Pino Pesce, direttore del periodico l’Alba il quale ha commentato il canto III del Purgatorio, letto dall’attore Mario Opinato. La serata è stata allietata da alcuni intermezzi musicali eseguiti dalla pianista Maria Schillaci e dal soprano Margherita Aiello.
Il prof. Ciccia, citando i versi del III canto del Purgatorio ha evidenziato l’esaltazione della bontà e misericordia di Dio, oggetto del Giubileo della Misericordia indetto da Papa Francesco.
Si è poi soffermato sulla figura del re Manfredi, mettendo in risalto la grande ammirazione che Dante aveva per lui, definendolo bello, biondo e di gentile aspetto e ricordando il maltrattamento del suo cadavere da parte delle autorità ecclesiastiche.
Ma un’attenzione particolare egli ha riservato alle parole L’onor di Cicilia e d’Aragona, fulcro essenziale della conferenza stessa, con cui Manfredi, con un orgoglio tutto umano, qualifica la figlia Costanza, andata sposa a Pietro il Grande d’Aragona.
Con una dotta disquisizione il prof. Ciccia, sottolinea che nella Divina Commedia Dante fa diversi riferimenti alla Sicilia, alle sue vicende e ai suoi sovrani, e chiarisce l’apparente contraddizione dantesca: le parole di Manfredi a Dante circa l’onore della sua discendenza esprimono l’orgoglio del sovrano, del padre e del nonno, mentre nei brani che contengono il biasimo c’è il monito di Dante stesso, scontento del comportamento dei due fratelli, successori di Manfredi, Giacomo e Federico d’Aragona, morto, quest’ultimo, a Paternò nel 1337.
Premesso che alla morte di Manfredi (1266) la figlia Costanza aveva generato solo Alfonso III (1265-1291), la discussa frase di Manfredi suonerebbe come una stridente stonatura — considerando il disonore (e non l’onore) di cui i due fratelli Giacomo II e Federico II d’Aragona si erano coperti agli occhi di Dante — se non si tenesse conto che il divino poeta ha voluto dare rilievo all’orgoglio del padre, del nonno e del sovrano. L’allusione alla prole vuol essere generica, impersonale e asseverativa, perché non vuole indicare questo o quello dei figli di Costanza; e perciò la discussa frase, tutta di Manfredi, va intesa nel seguente senso: “genitrice di prole che, ereditando le riconosciute virtù di così nobile prosapia, e quindi anche di me stesso, è e sarà “l’onore della Sicilia e dell’Aragona”. Parole di Manfredi, il quale — con una terrena e umanamente comprensibile immodestia — voleva esaltare il suo lignaggio e quindi sé stesso.
Agata Rizzo
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Ven, Feb 12, 2016
Cultura, Eventi