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“La solita vita” di Eugenio Morelli

Mar, Mag 5, 2015

Cultura

Osservazioni e riflessioni sulla nostra quotidianità, magari ringraziando Dio!

In una società frettolosa, distratta e indifferente come la nostra, certamente riescono utili i libretti in prosa e in poesia che il triestino Eugenio Morelli periodicamente propone: è il caso di La solita vita (Publimedia, San Vendemiano, 2015, pp. 78, € 10), una raccolta d’osservazioni e riflessioni sulla nostra quotidianità, spesso apparse come articoli in giornali e riviste.

Nella presentazione del volume l’autore ha scritto: «Si può raccontare la propria vita e quella degli altri mettendo in evidenza esperienze interessanti, capacità di osservazione, buoni spunti creativi ed intuizioni […] E rimanere comunque, alla fine, incollati alla… solita vita! E magari… ringraziare Dio!»

Perciò questo lavoro appare anzitutto come autobiografico. Il Morelli, che è medico e scrittore, per la sua attività lavorativa s’è trovato più volte a contatto con la sofferenza, l’angoscia e la morte, ricavandone profonde impressioni. Ma ha anche osservato l’umanità sana con le sue contraddizioni, le sue fissazioni e le sue futilità. Da ciò è nato in lui l’impulso a consigliare — talora con sottile ironia — suggerendo momenti di sosta e di riflessione per una considerazione o riconsiderazione di sé, degli altri e dell’universo, ma soprattutto dell’essenza della vita umana e del suo destino.

Così, ad esempio, la scoperta d’una lontanissima galassia da parte di scienziati gli fa pensare alla difficoltà d’identificare ed esplorare una galassia assai più vicina, qual è la propria realtà; l’improvvisa sparizione dei disturbi dovuti a foruncoli durante un corso d’aggiornamento lo porta a concludere che la medicina tradizionale non può guarire tutti i mali; un rosario stretto fra le mani d’un’ammalata gli dimostra che in certi casi la preghiera è l’unico riferimento ed appiglio che nessuno può togliere o negare; e una fotografia d’alpini in guerra l’aiuta a superare la paura d’agire in vista d’eventuali rogne.

Delineando poi il rapporto fra Divina Commedia e vita quotidiana, l’autore confessa d’aver preso il poema sacro— ai suoi tempi studiato a scuola più che altro per imposizione — come guida della sua vita per la pregnanza di casi, situazioni e massime che lo costellano; e ciò, nonostante qualche titubanza dovuta ad occasionali opportunismi: il che conferma la perennità del magistero civile e morale di Dante (cfr. fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenzaInf. XXVI 119-120).

Lo fa riflettere anche la vicenda accaduta ad un disabile morto a causa d’un incendio, patito senza potersi muovere e senza poter chiamare nessuno in  soccorso: una tragedia di fronte alla quale sono pochissima cosa o nulla le nostre contrarietà quotidiane.

Nelle sue meditazioni laiche l’autore si spinge anche a considerare quale possa essere l’influenza dello Spirito Santo, spesso chiamato in causa quale determinante di scelte e azioni umane, quando s’ignora la facoltà del libero arbitrio presente nel nostro cervello.

Molti altri sono gli spunti di riflessione, fra cui ci sono anche le dipendenze psicologiche da droghe varie, compresi alcol e fumo, capaci di condizionare le relazioni sociali. Ma un’attenzione particolare l’autore rivolge al pensiero della morte: di fronte ad un famoso scrittore morente egli rinuncia alla prospettiva d’una vita da sogno per accettare l’idea della vanità della vita per tutti e dell’inevitabilità della morte uguagliatrice, il cui pensiero diviene fonte d’operosità costruttiva. Il motivo della morte ritorna in più pagine, specialmente alla fine, tanto che il vescovo diocesano, in una lettera riportata a conclusione del libro, gli ha scritto: «Penso di condividere sostanzialmente il suo pensiero. Ilmemento mori dell’antichità classica è stato assunto anche dalla spiritualità cristiana diventando il: memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris. Il pensiero della morte non genera automaticamente e soltanto disimpegno e rassegnazione, ma, molto più fruttuosamente, sentimenti nobili come quelli che lei stesso suggerisce nel breve articolo che mi ha inviato».

Nel corso del lavoro s’incontra più volte il riferimento al Signor Nessuno, nome d’arte assunto dall’autore per sottolineare la sua pochezza personale e artistica: ma ciò non toglie che egli per le sue pubblicazioni e il suo attivismo culturale abbia ricevuto numerosi premi e altri riconoscimenti.

Le considerazioni sono brevi, le pagine non del tutto riempite, i pensieri veloci: e questi lasciano nei lettori ben predisposti proficui fermenti.

La forma linguistico-espressiva è corretta e la lettura scorre agevolmente, facilitata dall’evidenza dei caratteri tipografici. Copertina, impaginazione e qualità della carta, ovviamente insieme col contenuto (la cui valutazione è la principale), rendono questo libretto pregevole sotto ogni punto di vista e consigliabile a tutti per la sua utilità, specialmente se posto sul proprio comodino per essere consultato ogni tanto.

Carmelo Ciccia

Carmelo Ciccia

Nato a Paternò, dopo la laurea in lettere a Catania e un periodo d’assistentato universitario e d’insegnamento liceale in quest’ultima città, si è trasferito nel Veneto, dove è stato docente e preside, per molti anni nel liceo classico di Conegliano (TV), città in cui risiede e in cui svolge varie attività culturali. Ha pubblicato una ventina di libri e una quarantina di opuscoli ed estratti, anche in latino, quasi tutti di saggistica e di critica letteraria, principalmente su Dante, ma anche su altri scrittori. Collabora a numerosi giornali e riviste con articoli e recensioni (oltre un migliaio quelli finora pubblicati) ed ha ottenuto vari riconoscimenti, fra cui alcuni primi premi, premi della cultura della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la medaglia d’oro dei benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte, concessa dal Presidente della Repubblica, e la medaglia d’oro della città di Conegliano, concessa dal sindaco. Nel 2005 è stato invitato al Quirinale dal presidente Ciampi.

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