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“La badante”, l’ultimo sudore letterario di Matteo Collura

Gio, Apr 30, 2015

Cultura

Una storia di palpitante attualità tra le pieghe di una società distratta
(Longanesi pagg. 210)

Dopo averci dato libri di impegno civile fra storia e attualità sulla odiosamata Sicilia e preziose biografie di grandi autori (Il Maestro di Regalpetra –Vita di Leonardo SciasciaIl gioco delle partivita straordinaria di Luigi Pirandello), Matteo Collura torna alla narrativa, suo antico amore, con il romanzo La badante.

Romanzo di formazione, quest’ultimo: per il modo affabulatorio di raccontare, come a una platea di ascoltatori, una storia emblematica di questi nostri tempi, ignorata tra le pieghe di una società distratta.

Protagonista dell’opportuno libro di Collura è un professore di lettere in pensione, Italo (ma potrebbe essere l’americano John o il francese Daniel) Gorini, costretto in una sedia a rotelle, e Paula, la badante romena, deuteragonista.

Il vecchio professore, malato di Alzheimer, è uno dei tre milioni e mezzo di italiani colpiti da demenza senile, morbo di Parkinson e altre malattie (quanto tutta la popolazione di Roma e metà di quella di Milano) non sono, per fortuna, tutti tagliati fuori dalla vita, una fetta è attiva, occupa posti di comando: dirigenti d’impresa, politici, artisti «con ancora un loro gusto di vivere».

Il nostro professore manifesta momenti di lucidità, nei quali affiorano ricordi di una vita inquieta e laboriosa, ambiziosa, la moglie Margherita scomparsa cinque anni prima, la sua milizia in Libia, insegnante di lettere in un liceo classico di Bengasi, le molte avventure amorose, nota dominante l’ironia, il gusto della dialettica. Le sue giornate ora trascorrono lente, interminabili, confortate dalla presenza di Paula, la badante, una bella quarantenne; Maddalena, la sorella pragmatica, materna, dal placido figlio trentacinquenne Desiderio, laureato e disoccupato, e dalla cognata Giorgina, settantenne, innamorata della vita.

C’è ancora vita dentro quel corpo immobile, risvegli di appetiti sessuali verso la matura e piacente Paula, le pieghe della veste che ne disegnano i fianchi, il bel corpo seducente. Compagna assidua la tristezza della malattia, della vecchiaia, l’incombere della fine. Che ci sarà dopo? Domande che il vecchio professore Gorini, ateo, scettico, si pone e che l’autore trasmette al lettore.

Si pensa al De senectute di Cicerone, al grande filosofo Bobbio. Collura è di chiara ascendenza manzoniana: la pietas di Manzoni incarnata da Paula, che si piega a lenire la solitudine, lo smarrimento del “dottore”, come la badante è solita chiamare il vecchio professore. Che non trascura di spiarla nei gesti, nei momenti di intimità, di desiderarla. Come quel giorno che spingendo la carrozzella verso il soggiorno la mano del dottore sfiora quella di Paula e lei la ritira sorpresa, brusca. E si chiedeva allora il vecchio professore come non suscitasse più alcun interesse in una donna, l’attenzione verso un uomo che era ancora bello ed elegante, adorato in gioventù dalle donne. Idolatrato dai genitori che lo considerano un dio, quel Dio a cui lui, il giovane Italo, non crede.

I ricordi dei vent’anni trascorsi in Libia, dov’era nato, da genitori immigrati, ammirato dai suoi allievi di liceo. Suggestive le pagine sulla giovinezza del vecchio professore nei notturni deserti libici, baciati da una luce «argentea e immensa» della luna, delle stelle.

Una commozione autentica l’assaliva allora, ascoltando il padre che leggeva Ciaula scopre la luna; la stessa commozione che proverà nell’ascoltare le parole semplici del Papa Buono, l’invito a guardare lassù, nel cielo di Roma, l’astro splendente. E chiedeva,il professor Gorini, di aprire le tende del soggiorno nelle notti di luna. Un flusso vitale lo invadeva, incline il vecchio professore a discettare sul mistero della bellezza, del cosmo, della fede. Della vita e della morte.

Era allora che la sua mente appannata richiamava i libri letti, i film visti, gli autori che della morte e del dopo avevano colto il mistero: Tolstoj, Cioran. E, strana coincidenza, aveva scoperto che proprio di Cioran era il libro che Paula andava leggendo. Desiderare la vita ed esserne escluso. Un Prometeo incatenato a una roccia. Irrimediabilmente. Al vecchio professore piaceva avere vicino Paula, sentirne la sua presenza, riempirsi lo sguardo del suo corpo ben formato, ascoltarne la voce, farle domande insinuanti.

Viene informato che anche la romena Paula era nata in Libia nel 1970, l’anno in cui Gheddafi li aveva cacciati dalla Libia. Confiscati tutti i loro beni; anche lei, Paula, aveva alle spalle un passato travagliato. Domande insinuanti, risposte vaghe: un gioco delle parti. A entrambi, si confessano, piacciono i cimiteri. Un luogo che dava un senso di pace, conveniva Paula. Anche a lei piaceva quel grande quadro appeso alla parete del soggiorno, l’Isola dei morti di Arnold Bocklin. Che poi il vecchio professore volle sostituire con la gigantografia di un dipinto del pittore francese Jean-Léon Gérome. Si intitola Pollice verso e raffigura un combattimento fra due gladiatori, in un’arena dell’antica Roma. Uno dei due gladiatori, la daga in pugno, tiene sotto il tallone l’avversario vinto. Il braccio levato, pronto a colpire, aspettando il pollice verso dell’imperatore. Una scena emblematica. Il vecchio Gorini in attesa del colpo mortale. Un istante che è un’eternità. Il terrore non era della morte, ma nell’attesa. Il vecchio professore non temeva la morte, anzi avrebbe voluto vederla in faccia, la nera Vecchia, quando arrivava.

Desiderava ancora, il vecchio professore malato, gustare i piaceri della vita. Il corpo maturo di Paula «emanava come un sentore di fresco… faceva pensare a un frutto vellutato e succoso». Paula frequentava un bravo ragazzo, Stefanu, romeno anche lui, con cui usciva nel giorno libero. Il vecchio professore ne era geloso, come temesse che quel frutto potesse essere sporcato. Nella passeggiata in auto che aveva chiesto di fare con Desiderio – veniva sera – la città gli appariva deturpata, i giovani sdraiati su fogli di cartone  nel portico della stazione sotto un colonnato: una gioventù senza ideali, giorni sprecati, un mondo corrotto dalla droga, dalla prostituzione. Il mercimonio delle periferie, ragazze di ogni colore che si offrivano al primo acquirente, un mercato squallido, deprimente.

Ebbe una nottata inquieta, agitata, il vecchio professore. Si svegliò presto, chiamò Paula, le chiese di essere accompagnato in soggiorno. Era già autunno, il borbottio dei tuoni annunziava la pioggia, il vecchio professore ne respirava l’odore. Ricordava quel cielo rosso del deserto di Libia, i sensi tesi nel desiderio di Paula. Si piegò verso di lei, l’abbracciò forte, tentò di baciarla, ma la donna si ritrasse sorpresa e sconvolta. Il vecchio professore si scusò, girò la carrozzella in un impeto di stizza, si diresse verso il bagno. Il desiderio ossessivo di lei si tramutò in disprezzo. Decise di licenziarla. Una serva romena. Sì, doveva allontanarla, cacciarla via.

A questo punto il racconto di Collura ha una svolta imprevista, che sarebbe maleducato qui anticipare.

Il lettore rimane incollato all’ultima parte del libro. Fedele alla lezione manzoniana, l’autore ci dà un finale rasserenato, metafisico. Collura non appartiene alla moltitudine di autori moderni sedotti dalle mode, e conclude la sua storia con una nota di cristiano sentire. Da vero maestro: di stile, di tessitura narrativa. Che, poi, è la sua cifra di scrittore colto e sorvegliato. «E’ un dovere dell’uomo essere felice».

Un romanzo, La Badante, scritto in stato di grazia.

Giuseppe Cantavenere

Giuseppe Cantavenere

Avvocato, è nato a Palma di Montechiaro (Ag) e vive tra Montecatini Terme e la sua casa di campagna a Licata.
Ha pubblicato i romanzi “La morte gentile” (1983), “Il bambino nell’azzurro” (1986) e ”Il giudice, l’avvocato e il berretto a sonagli” (Salvatore Sciascia Editore, 2010). Per “Sciascia” scrive anche “Rosa Balistreri”, cui si accompagna il DVD “La voce di Rosa” (2012), con la regia di Nello Correale e la partecipazione di Donatella Finocchiaro. Di quest’ultimo lavoro c’era già stata una prima edizione per la Casa Editrice “La Luna” (1992).

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