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“Aspettando Godot” di Beckett al “Verga” di Catania

Dom, Apr 5, 2015

Spettacolo

Due personaggi densi di sentimento in una storia che non inizia e non finisce


Si impone fin dalle prime battute l’alto livello della rappresentazione del 10 marzo al Teatro “Verga” dello Stabile  di Catania.

 Aspettando Godot, dramma in due atti di Samuel Beckett, annoverato da una certa parte della critica, tra le fila del teatro dell’assurdo, e prodotto dal Teatro “Carcano” di Milano, sotto la regia di Maurizio Scaparro tocca, a Catania, quote alte di drammatizzazione.

Immediato è l’impatto con una scenografia d’effetto, dai colori nitidi, vivaci: l’azzurro di fondo  che riproduce un cielo terso, intenso, vivo, il quale scolora durante le fasi della giornata ed un albero spoglio a centro scena, che tuttavia non comunica desolazione, che anzi, rinverdendo nel secondo atto,  richiama  la ciclicità della vita.

L’unica nota forse, che potrebbe ritenersi assurda, risiede nella simbolica idea di Beckett di focalizzare l’intera vicenda attorno ad un albero, in quel perpetuo girarvi intorno senza mai arrivare, mentre la vegetazione scandisce il tempo.

Diversi sono i richiami semantici, in questa essenziale ma eloquente scenografia, come gli abiti di ciascuno dei personaggi.

Non privi di dignità, né laceri, ma compiti, quelli di Estragone (Antonio Salines) e Vladimiro (Luciano Virgilio), due clochard, forse a indicare rispetto per la persona; rosso e vivace quello da domatore, Pozzo (Edoardo Siravo), che rivela cromaticamente il ruolo dominante rispetto a Lucky (Enrico Bonavera), legato ad una fune, a mo’ di guinzaglio, che invece veste i colori più anonimi della sabbia, quasi a sottolineare una assenza di personalità, sottolineando l’ambivalente perverso rapporto che lega il  tiranno  alla sua vittima.

Queste note eleganti vanno infatti a rinforzare tratti tipologici umani differenti  che,  insistendo nel tessuto dell’esistenza, con logiche identitarie individuali, si relazionano  a proprio modo.

Così la storia che non inizia né finisce, si racconta attraverso questi personaggi, densi di sentimento e che posseggono una carica umana straordinaria.

Sanno farsi amare teneramente durante lo svolgersi della rappresentazione, durante lo srotolare della drammatica quotidianità, in quel paradossale tendere verso il nulla e verso l’infinito, verso l’inconsistente e verso il concreto, ma sempre sospeso, nella direzione della speranza, o dell’illusione o della trascendenza,  con immensa tenerezza.

Sebbene simili, sono differenti i due grandi personaggi-attori: uno tende verso i bisogni legati ad una affettività umana, di dipendenza, l’altro, coglie barlumi metafisici e si interroga… spera. 

E i due, opposti e all’un tempo complementari, si abbracciano, colmando,  di presenze tenere ed attente la gettatezza  esistenziale di cui sono simbolo .

E Godot, che rimanda sempre la sua venuta, il suo arrivo, scandisce il trascorrere del tempo, che si ricama e riempie ora di leggerezze e amenità, ora di tragicità, decritta talvolta nei non sensi, tal’altra  nel raggelante desiderio di suicidio  

E’ un gran bel testo, questo di Beckett, e bravissimi sono i suoi attori, nel modo in cui ciascuno interpreta se stesso e nella relazione che tra loro tessono, una relazione che sa davvero di antico, di amicizia e storia comune, consumata e colma di affetto.

Pozzo, non meno degli altri ha un bel temperamento che si esprime anche attraverso la modulazione affascinante della voce, con i suoi impeti e i suoi ruggiti, e non da meno è Lucky, quando d’improvviso, alla richiesta di parlare, celebra un assolo mozzafiato.

Solo un filo di musica in tutta la rappresentazione. Giusto un tocco. Nel senso della misura si celebra l’arte, e questa lo è!

Alto il livello di questa serata, ravvisato nel contenimento globale dei gesti, della parola, dei toni, dei suoni, dei colori, nella appercezione complessa del testo reso facile senza sforzi e affaticamenti di comprensione grazie a veri artisti della recitazione.

Senza lacerazioni e dolcissimamente, lo spettatore viene condotto alla riflessione più intima sul percorso dell’uomo e sull’attesa  di questo mai abbastanza identificato Godot.

Questa è la vita, assurda e non il suo teatro che la rappresenta.

E tutto il complesso pensiero di Becket, risultanza di illusioni-delusioni, attese-disattese, paradossi, contraddizioni,  desiderio di esserci e di non esserci, viene amalgamato, impiattato e servito in singole  distinte pietanze che gli spettatori hanno saputo gustare fino all’ultimo boccone.  

Un lungo e grato applauso a Michele Degirolamo (il ragazzo), a Francesco Bottai (scene), a Lorenzo Cutuli (costumi), a Salvo Manganaro (disegno luci), ai già citati straordinari attori e ad un grande maestro della regia: Maurizio Scaparro.

Norma Viscusi  

 

Norma Viscusi

Pianista. Insegna Musica nella sc. Media Q. Maiorana di Catania. Ha conseguito anche il Magistero di Scienze Religiose presso IRSS San Luca di Catania, Facoltà di teologica di Sicilia. Il suo interesse è poliedrico: musica, arte, cultura, volontariato e giornalismo. Collabora come editorialista, freelance, con diversi periodici e quotidiani. Fra questi Freedom 24, Zona franca, l’informazione, Aetnanet, Newsicilia, l’Alba. Ha pubblicato saggi di letteratura religiosa sulla Scapigliatura, Lo spazio di Dio in Tarchetti in La letteratura e il Sacro, narrativa e teatro, cura di F. D.Tosto, vol. IV ed. ESI, 2016 Napoli e per la collana “Nuova Argileto”, La Scapigliatura. Tra solitudine e trasgressione, Lo spazio di Dio in Tarchetti, Rovani e Dossi. ed. Bastogi, 2019 Roma. Ama dedicarsi in modo particolare a recensioni musicali e teatrali.

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