“Non si sa come” al Teatro Metropolitan di Catania
La tragedia di Pirandello in un’operazione scenico-recitativa ben riuscita di Pino Caruso
In un attimo, non si sa come, per uno strano capriccio del caso, ma certamente anche dei sensi sempre in agguato, tutto all’improvviso precipita non riuscendo a reggere il peso del rimorso che tortura. Sentimenti e principi calpestati da una cieca e irresponsabile passione che pendola fra realtà e sogno fino al tragico epilogo.
Qui l’essenza ristretta di Non si sa come, tragedia in tre atti (nel caso in due) di Luigi Pirandello, prodotta dal Teatro Stabile di Palermo e rappresentata, di recente, al Teatro Metropolitan di Catania sotto la regia di Pino Caruso che veste anche i panni del protagonista: il conte Romeo Daddi.
Il conte scandaglia la sua anima e vi trova il suo tradimento, un «delitto innocente», commesso senza volerlo in un momento di smarrimento, di sopraffazione dei sensi! E in una incursione nella sua interiorità, trova un delitto ben più atroce, il quale aveva commesso da ragazzo uccidendo, in un momento d’ira non controllata, un suo coetaneo. Ora che il delitto giovanile riaffiora con particolari sconcertanti la sua coscienza si carica di responsabilità… Tutto è, poi, un susseguirsi di colpi di scena in un profilarsi di realtà e finzione che coinvolge altri personaggi; in particolare la moglie Bice (Giusi Cataldo) che vive il turbamento di un sogno (ma può essere senza contaminazioni reali?!) che le aveva visualizzato un proprio adulterio. Colpa potentemente maggiore quella dell’amica Ginevra (Emanuela Muni) che aveva corrisposto realmente, in un momento di aggressione dei sensi, a Romeo, amico fraterno del marito Giorgio Vanzi (Alessio Di Clemente), Ufficiale di Marina.
In mezzo alla vicenda, il quinto personaggio, il marchese Nicola Respi (Roberto Burgio), innamorato di Bice, il quale annuncia (seguendole nell’evolversi) le pazze stranezze di Romeo:«rimuove dal fondo della coscienza… quella feccia che ognuno ha dentro!»
Il dramma è il solito groviglio pirandelliano di passioni e di amori, di tradimenti e di sensi di colpa, di turbamenti (qui più che altrove paradossalmente estremizzati), sbattuti dalla tempesta dell’essere o dell’apparire e risucchiati da un inesorabile ed oscuro gorgo che distrugge ed annienta ogni entità ed ogni identità. «Quante cose avvengono nella vita, dentro di noi! E poi non è più nulla… Il gorgo si richiude, e tutto torna uguale.» Aveva scritto Pirandello a Marta Abba, sua musa ispiratrice, proprio mentre si dibatteva nella stesura di questo dramma che la mano sicura gli aveva permesso di scrivere fino a tutto il primo atto. Poi non resse più e, stanca, procedette affannata! fino a fermarsi del tutto. Fu, poi, infatti il figlio Stefano a riprendere l’opera letteraria scrivendone tutto il secondo atto e buona parte del terzo, dove sintetizza il concetto di «libertà come condanna» che non è affatto di Luigi; il quale (tralasciando puntualizzazioni adatte ad altra sede) aveva nascosto (e come avrebbe potuto non nasconderla?!), in una lettera a Marta, la mano del figlio, facendosi lui portatore del «soffio nuovo, ancora impensato, d’umanità.» Che invece è di Stefano. «Il Non si sa come ha di mio tutto il secondo atto che Papà aveva sbagliato in pieno per la preoccupazione di far la parte importante alla Marta…», scrive il figlio rifacitore in uno sfogo annotato. Sicché Luigi è solo padrone assoluto del primo atto che (riferisce sempre alla Abba) gli era venuto «benissimo».
I due Pirandello sono quindi gli autori di questa scabrosa e torbida storia d’amore di alto e raffinato ambiente borghese, dove la gelosia degenera in delitto per un tradimento che nella realtà non poteva essere, per il marito tradito, «delitto innocente», tanto da essere risolto con un “umano” colpo di pistola.
Paga, così, Romeo la sua responsabilità, ma è una responsabilità diversa dalle solite; non supporta, infatti, integralmente la giustificazione di Luigi Pirandello del teatro, considerato «un’arte che viene dalla vita, ma che vive nella dimensione dell’arte». L’arte, che qui viene fuori ha una differente concezione della vita che non è più quella del padre bensì quella del figlio, che considera «la libertà come condanna», la quale fa dire a Romeo Daddi: «La mia condanna deve essere il contrario della carcere: fuori, fuori dove non c’è più niente di stabilito… case, relazioni, contatti, consorzio, leggi abitudini, più nulla: la libertà ecco, la libertà come condanna, l’esilio nel sogno, come il santo nel deserto, o l’inferno del vagabondo che ruba, che uccide…» E tutto per un «delitto non voluto ma commesso»! diversamente vissuto dai due infedeli: la donna che vuole nascondere la sua debolezza al marito, l’uomo che, cosciente dell’errore, vuole la sua condanna.
Si riporta spesso una risposta di Pirandello a Missiroli: «Nel mondo morale la coscienza si risveglia come un giudice severissimo e intransigente nell’animo di chi ha infranto la legge. Il delitto appartiene alla natura, ma il momento veramente drammatico è quello della giustizia, ed è tanto più drammatico quanto più il tribunale è invisibile cioè nella coscienza…». Sembra però che nel suono di Luigi ci sia l’eco forte del figlio Stefano.
Attorno al complesso intreccio della trama, l’aureola psicanalitica dei due Autori (al di là della diretta o meno conoscenza teorico-indagativa di Freud) che coglie bene il regista-attore palermitano ricavandone un’operazione scenico-recitativa ben riuscita nel rispetto del concepimento teatrale classico. Per cui è indicato ricordare una sottolineatura registica di Caruso: «… una scoperta della mente sulla mente, che inventa un modo di leggere l’anima dell’uomo e i percorsi del suo cervello… i miracoli li fa la scienza, la quale si fa letteratura… teatro.»
Ottime le interpretazioni di Giusi Cataldo, sicura e leggiadra nella recitazione, e di Alessio Di Clemente, potente nell’espressività recitativa, specialmente quando il tono, nello sciogliersi del dramma, gli si libera fortemente agitato e arrabbiato. D’applaudire gli altri due attori. Le scene sono di Enzo Venezia, i costumi di Dora Argento.
Pino Pesce
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Mer, Mar 25, 2015
Spettacolo