“La Bohème” di Puccini al Teatro Massimo “Bellini” di Catania
Freschezza, giovialità, dinamismo e vivace azione scenica coinvolgono il pubblico
Ancora luci accese al Teatro Massimo Bellini di Catania – dopo una stagione inframmezzata di silenzio artistico (imperdonabile assenza per un così grande teatro, per una città così antica e artisticamente preparata) – per rimettere nel suo prezioso vassoio la sua indescrivibile aria, il suo magico afrore, denso di colori suoni e strumenti.
Così un pubblico internazionale percorreva la sera del 20 febbraio, gli elegantissimi corridoi, le sale e i palchi: c’era festa, c’era La Bohème!
La rinomata rappresentazione lirica (la seconda dopo Anna Bolena), in quattro quadri di Giacomo Puccini su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica, si è fatta apprezzare per i numerosi elementi di qualità, innovativi per certi versi, anche se al suo interno, pochissime vistose defaiance, ridimensionavano le buone potenzialità di una recita da ricordare.
Tuttavia, freschezza, giovialità, dinamismo e un’azione scenica vivace e coinvolgente hanno segnato l’apertura del primo atto, in cui il tenore Leonardo Caimi fa da padrone, poiché gioca con soluzioni timbriche belle, nuove che ben rendono la simpatia del personaggio che scostandosi dai cliché, si offre con moderna simpatia.
Il quartetto, ad onor del vero piace tutto, (Caimi-Rodolfo, Fabbian-Marcello, Palmieri-Colline, Verna-Schunard), e sa rendere l’idea di una Bohème giovane e spensierata, che sa viver d’arte e d’amore, povera ma felice.
Nei quadri successivi, emerge un’attraentissima Musetta (Laura Giordano), davvero bella e brava, spiritosa e disinvolta in un ruolo che fa innamorare e che la consegna certamente ad un futuro di meritato successo. L’orchestra, diretta da Xu Zhong, segue svelta e accompagna il canto con equilibrata misura, mentre il coro purtroppo, talvolta scade, mancando sia agli appelli ritmico- melodici, sia sul fronte scenico, dove si ammassa dando una impressione coreografica caotica e indecisa.
Terzo e quarto movimento, nonostante le incertezze, si sviluppano reggendosi sulla professionalità di un gruppo che comunque è affiatato e trova ispirazione in una scenografia gradevole e sulla riuscita delle meravigliose arie che incantano e commuovono.
Delude però una “…vecchia zimarra”, accelerata e modulata su una impostazione timbrica che non lascia indovinare un accorato e struggente basso, ma piuttosto, un baritono che canta toni più gravi.
Daniela Schillaci, Mimì, segna il passo della vera artista e si impone con eleganza e stile, concludendo l’opera con una interpretazione di perfetta aderenza allo stile melodrammatico pucciniano, anche se, una infelice scelta del regista (G. Anfuso), toglie al suo tenore e quindi all’atteso epilogo, l’effetto dirompente dell’ultimo acuto, spezzandolo e smorzandolo di tragicità poiché lo fa abbandonare tra le braccia dell’amico, piuttosto che sul corpo di Mimì che si è appena spenta.
Scelte, soluzioni che, discutibili anche sul piano umano, inibiscono l’applauso che era stato trattenuto, in attesa di avere il suo legittimo sfogo e dare meritata approvazione agli elementi che comunque si sono fatti onore.
Norma Viscusi
Tags: alba, bellini, l'alba, l'alba periodico, la boheme, opera, pino pesce, teatro
Mer, Mar 25, 2015
Spettacolo