“Tutti in classe!” di Fabio Muccin
Ven, Gen 23, 2015
La carriera d’insegnante dell’autore in un romanzo autobiografico
… l’autore benedice la sia pur travagliata scelta dell’insegnamento, esaltando il quotidiano prodigio d’incontrarsi cogli alunni, di specchiarsi nei loro occhi e di vivere in essi e per essi…
Il libro di Fabio Muccin Tutti in classe! (Alba, Meduna di Livenza, 2014, pp. 184, € 14) è non soltanto una silloge di racconti, qualcuno dei quali premiato, ma anche un romanzo autobiografico in vari capitoli, nel quale si narra la genesi e lo svolgimento della carriera d’insegnante dell’autore. Egli, infatti, laureato in lettere classiche con una tesi in archeologia ed abilitato all’insegnamento nei corsi regionali, all’inizio è fissato nell’idea di voler fare il giornalista: e in parte ci riesce, ottenendo per un breve periodo di fare il corrispondente per un quotidiano locale; ma poi la scarsità del compenso, sbilanciato dalle considerevoli spese d’esercizio, e soprattutto lo stillicidio d’incitamenti tesi a fargli fare l’insegnante da parte d’un certo numero di parenti che esercitavano tale professione (madre, zie, cugine) lo induce a far domanda al provveditorato e ad intraprendere quella carriera per la quale poi si dimostra tagliato.
Questa ha inizio con l’ordine “Tutti in classe!” impartito agli alunni in attesa d’entrare e si sviluppa con una serie diversi episodi: le prime supplenze, la nomina a tempo indeterminato e il tardivo innamoramento della professione; l’arrivo d’un’alunna nera, d’uno meridionale e d’una marocchina che pongono problemi d’accoglienza e integrazione; il grado di confidenza e simpatia presso gli alunni, i quali ad un certo punto si dichiarano gelosi e riescono a scoprire la data di nascita del docente per festeggiarne il compleanno; certi temi affrontati con loro, quali la difesa del territorio e l’eco-compatibilità/sostenibilità, la riservatezza personale, la sessualità, la parità giuridica fra uomo e donna, il razzismo, l’antisemitismo e la persecuzione nazifascista degli ebrei, la religiosità; l’abuso e il sequestro dei bianchetti cancellanti; l’ultimo giorno del triennio scolastico, gli scrutini e gli esami; qualche significativa lettera ricevuta dagli alunni; la promessa di scrivere un libro per loro, il quale poi è davvero scritto e presentato, con dediche autografe delle copie che vanno a ruba fra gli alunni.
Nel libro ci sono varie considerazioni e massime che subito appaiono importanti, fra cui: “La scuola… permetterà loro, un giorno, di essere cittadini consapevoli e responsabili, se noi insegnanti saremo capaci di svolgere il nostro ruolo” (p. 146); e a proposito della bocciatura: “È dura da accettare, tuttavia un alunno ha diritto anche alla bocciatura, non solo alla promozione, che seppure piacevole e rassicurante, non è sempre il percorso migliore per maturare” (p. 168).
E alla fine del tredicesimo anno d’insegnamento l’autore benedice la sia pur travagliata scelta dell’insegnamento, esaltando il quotidiano prodigio d’incontrarsi cogli alunni, di specchiarsi nei loro occhi e di vivere in essi e per essi, dichiarando d’essere gratificato, non riuscendo ad immaginare la sua vita senza alunni e concludendo che sono questi ad insegnare a lui.
A questo punto si comprende che il libro è rivolto anzitutto agli alunni e ai docenti: ai docenti giovani, ai quali dà preziosi suggerimenti, e a quelli vecchi, magari quelli che sono già in pensione e ora possono avere l’occasione di rievocare con nostalgia la loro professione d’un tempo, dalle prime ansie per l’attesa delle nomine al passaggio in ruolo e allo svolgimento della loro attività quotidiana sulle cattedre e fra i banchi, con le innumerevoli vicende ed emozioni che l’hanno costellata.
L’edizione del libro è economica e modesta, ma complessivamente decorosa. La forma espressiva, però, nonostante l’evidente attenzione, talora contiene refusi, sviste ed errori veri e propri di vario genere, fra cui: mancata differenziazione tipografica dei termini stranieri, punteggiatura non sempre precisa, tautologie (“non ne volevo saperne” p. 22), enfatiche locuzioni di moda (“così tanto” p. 54 e “talmente tanto” p. 87 ), improprietà (“mi intavolerei in un ginepraio” p. 104), contraddizioni (“Vorrei… ma non ne ho voglia”, p. 119).
Carmelo Ciccia
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Leggo nel finale ben poco cortese un bel ditino puntato, che tuttavia mi pare decisamente fuori luogo. Siccome Muccin ha vinto ben 70 premi letterari, forse la colpa dei refusi e degli errori non è sua ma di chi è intervenuto nel testo… Non crede?
Per altro, noto che anche nella sua prolusione di cui sopra compaiono errori di carattere regionalistico “è fissato nell’idea”, anticaglie impronunciabili “d’un’alunna nera”, le terribili “d” eufoniche, o “cogli alunni”. Sarei meno presuntuoso nel recensire, quando poi lei per primo commette medesimi errori e orrori!
Vedo Signor Muccin che la gentilezza è il suo pezzo forte. Complimenti. Ho avuto la triste occasione di leggere uno dei suoi racconti e le dico che, sebbene scritto senza errori, rimane un fascio di parole senza anima, non lascia proprio niente, non arricchisce, è vuoto. Inoltre sa, le dico che sebbene io abbia vinto molti più premi di lei, non li sputo in faccia alle persone. Lei non è la Merini del secolo… è uno come tanti che prova a scivere.
Oh Marianna (Marianna chi, poi, chissà, visto che hai vinto tanti premi forse non vuoi farti riconoscere, ne avrà motivo), anch’io ho letto i tuoi racconti. E se quelli di Muccin sono tristi, credimi, i tuoi sono decisamente peggiori. Quanto a Muccin, vorrei anche che lui rispondesse qui. Ma forse non gliene frega poi molto, e fa decisamente bene. Sai Marianna, il tuo sembra molto il tentativo di gettare discredito su chi neppure conosci (e dubito che tu abbia mai letto un suo racconto, visto che non ha mai pubblicato racconti) e il maldestro tentativo di nascondere un bel bicchierone di invidia. Ma sei sicura di aver ricevuto dei premi? Mi pare che in sintassi e ortografia non ci siamo troppo… Saranno solo refusi? Non so… E poi, siamo certi che abbia letto davvero Muccin? Lo paragoni alla Merini, quando Muccin è principalmente un narratore, mentre la Merini è una poetessa… Ma questo tu certamente lo sai, vero Marianna? Ah, qualis artifex pereo…!
Beh, premetto che a me Muccin sta abbastanza simpatico, ma ero nella scuola dove ha insegnato e il mio migliore amico era un suo alunno, e certe di queste ”storielle” di cui parla nel suo libro non si sono svolte in modo tanto benevolo… basti pensare che tutta la classe si lamentava di lui come professore, e infatti ha cambiato scuola; comunque per quanto mi riguarda (visto che ci ho passato qualche ora assieme quando era di supplenza) io lo trovo molto simpatico e spiritoso…