La pittura “fisiognomica” di Annachiara Di Pietro
Alla Galleria Civica d’Arte di Misterbianco le opere di un’artista alla costante ricerca di se stessa
Dopo varie Mostre tenute in giro per la regione, ecco – alla Galleria Civica d’Arte Pippo Giuffrida magistralmente diretta da Carmela Zuccarello – la prima “Personale” di Annachiara Di Pietro nella “sua” Misterbianco, dove vive ed opera col proprio raffinato atelier. La pittura vissuta e utilizzata anche «come se fosse una terapia psicanalitica, per conoscermi e capirmi meglio – ci dice – soprattutto in questo periodo. In passato ho sempre parlato dell’uomo, di problematiche sociali, prestando attenzione soprattutto alle fasce più deboli. In quest’ultimo periodo invece io dipingo per me, parlo fondamentalmente di me; e lo faccio con la pittura, come quando una persona va dallo psicologo e parla, e lui fa come uno specchio in cui tu capisci chi sei e qual è la tua storia. Ecco, questo è il motivo, l’esigenza che mi spinge a dipingere».
Figlia d’arte, Annachiara ha vissuto proprio tra le mura di casa i primi passi di un processo graduale proseguito con gli studi al Liceo Artistico prima e all’Accademia di Belle arti dopo. Dopo lo studio delle tecniche, l’artista ha cominciato a capire ed appassionarsi, focalizzando le sue intenzioni nei confronti della pittura. Ed Annachiara si occupa da par suo anche di restauri di dipinti su pareti e soffitti, oltre che di sculture.
Volti, figure, colori, nuvole, segni, introspezioni (appunto, “fisiognomia”); tanta simbologia ed onirica nelle tele (con tecnica mista) di questa giovane e bravissima artista, che riflettono una personalità introversa e instabile alla costante ricerca di se stessa.
Una pittrice che attraverso le proprie opere prova soprattutto a riscoprirsi, riconoscersi, ritrovarsi, “riappropriarsi” di sè, dimostrando profondità e sensibilità non comuni in un percorso personale ancora in gran parte da compiere ma che già sul piano artistico si evolve verso un’inconsapevole maturità. Chiediamo ad Annachiara se sia riuscita a ritrovarsi, e ci risponde: «No, ancora sono forse a metà del percorso, è un lavoro tosto, e non è detto che ci riesca. Ma sono convinta – aggiunge – che in realtà nessuno riesca a conoscersi completamente. Io sono così – ci confida – fondamentalmente chiusa, ed all’inizio avevo anche difficoltà ad esporre i miei lavori, perché io ho sempre dipinto per me e non per “mostrare”, e poi per fortuna questa situazione sono riuscita a superarla. Ora mi fa onestamente piacere esporre, anche se quando la gente mi chiede spiegazioni su alcuni particolari dei dipinti non rispondo a molte domande perché voglio che alcune cose rimangano solo “mie” e le tengo tutte per me; e poi sono convinta che il fruitore del quadro debba essere lasciato libero di ricevere dal dipinto l’emozione che esso gli dà; io posso offrire solo alcune linee-guida che spiegano il periodo che di volta in volta attraverso; ma fondamentalmente, ad ognuno arriva una cosa diversa, ed è giusto che sia così. Anche se la pittura e l’arte sono comunicazione, non è necessario conoscere per forza cosa l’artista esattamente sentisse nel momento in cui creava. Comunque, mi ha lusingato il fatto che molte persone sono riuscite a trovare nei miei quadri qualcosa, anche se celata, che io intendevo effettivamente esprimere».
Quanto alla “fisiognomia”, Annachiara si dice convinta che le espressioni, i modi di fare e di porsi di ciascuno – non tanto dai meri tratti somatici – rivelino carattere e personalità della persona. Ma ci tiene a precisare che «qui si tratta della fisiognomica modernamente intesa, quella che passa il testimone alla psicologia, dal 900 in poi, da Freud e con l’interpretazione dei sogni; per cui, la pittura – soprattutto con la ritrattistica – tende a rappresentare ciò che si ha dentro». E Annachiara dice di aver voluto “aiutare” questa ricerca di se stessa «inserendo degli elementi che fanno appunto parte della simbologia onirica». Perché appaiano in modo ricorrente le nuvole nei suoi quadri, o altri segni e simboli (come grafemi, pesci) l’artista non vuol proprio rivelarlo, perché essi fanno parte del mondo interiore che Annachiara vuole assolutamente riservare e trattenere per sé. Le barchette, ad esempio, a rappresentare la fragilità e l’instabilità della persona e della carta. Ed alcuni titoli scelti per i dipinti sono più palesi, altri molto meno, tra citazioni di Pessoa. I volti sulle tele sono quasi sempre femminili, tranne qualche debita eccezione come quelle ad esempio dei ragazzi di Librino e soprattutto di Fabrizio De Andrè, un mito di Annachiara, una passione condivisa con il padre. Un suo dipinto è stato significativamente scelto come copertina del romanzo La ragazza di Casalmonferrato dello scrittore Giuseppe Bonaviri che fu candidato al Nobel per la letteratura.
Chi l’ha seguita nel suo percorso, dice che Annachiara «è senz’altro cambiata molto, è maturata per così dire. La sua pittura è andata oltre, si è fatta più incisiva, ha preso consapevolezza delle sue potenzialità. Ha superato i timori iniziali ed ora è libera da gabbie mentali». Come mai abbia atteso tanto per realizzare la sua prima “personale” nella propria città, trova subito una risposta: «Non avvertivo forse gli stimoli culturali giusti, ma fondamentalmente non mi sentivo pronta». Quando le chiediamo quali possano essere le prossime tappe, i prossimi obiettivi nel suo percorso umano e professionale, Annachiara ci risponde subito candidamente: «Non lo so proprio, non posso saperlo, sono cose che vengono da sé naturalmente». L’insicurezza, o la consapevolezza, di una bella ragazza e artista di talento dotata indubbiamente di una spiccata personalità; e che nelle sue opere offre oggi, comunque, emozioni forti.
Una Mostra che ha registrato a Misterbianco moltissimo pubblico e larghi e meritati consensi. E, tra tanti commenti dei critici ed esperti, siamo riusciti da profani nell’ardua impresa di far dire finalmente alla stessa Annachiara qualcosa di sé. Facendoci così dare le più corrette “chiavi di lettura” (certo, non tutte) direttamente dall’artista, che peraltro – schiva – non ama “raccontarsi” in toto; e che ci sembra amare compiaciuta questo suo inquieto “caos” giovanile in continuo divenire.
Roberto Fatuzzo
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Mar, Dic 2, 2014
Arte