“La mia vita vorrei scrivere cantando – viaggio nel mondo di Ignazio Buttitta”
Mario Sorbello fa rivivere il poeta di Bagheria nei suoi versi politicosociali
Un’altra pagina importante per la cultura siciliana è stata scritta il 6 dicembre scorso presso il Piccolo Teatro di Paternò, nell’ambito delle attività dellaCasa Museo Cantastorie.
Protagonista è stato Ignazio Buttitta, che, se non è univocamente riconosciuto come il maggiore scrittore in lingua siciliana del Novecento (si pensi a figure come quella di Santo Calì), è certamente il più noto. Nell’arco di tempo che intercorre tra la sua nascita (19 settembre1899, a Bagheria, in provincia di Palermo) e quella della sua scomparsa (5 aprile 1997, anch’essa avvenuta nella sua città natale), ebbe modo di girare la Penisola in lungo e in largo, proponendosi come passionale dicitore dei propri versi. Chi scrive, ad esempio, oltre che in Sicilia, ricorda di averlo incontrato in una intensa serata milanese al teatro Franco Parenti (allora Salone Pier Lombardo) gremito non solamente da siciliani.
Sapeva bene – per averlo imparato dall’attività commerciale propria e della sua famiglia – quanto fosse produttrice di successo una saggia e insistente promozione soprattutto se fatta in prima persona. Ed egli accompagnava le qualità intrinseche di autore con un forte carisma; a suo favore ha anche giocato la condizione complessiva dei tempi, quelli di un’epoca feconda di speranze, nascenti dalla presa di coscienza politica e sociale che per la Sicilia (ma non solo per essa) ha rappresentato, prima di ogni cosa, consapevolezza della propria identità, della propria storia, delle proprie condizioni e del bisogno di riscatto, innanzitutto dai gravami di cui essa stessa era (e, purtroppo, è ancora) portatrice. Consapevole anche di quanto fosse (piacerebbe poter dire: «sia») fondamentale il ruolo della cultura per l’emancipazione della sua gente, Buttitta ha animato sin da giovane associazioni e movimenti che erano, allo stesso tempo, culturali e politici; insieme ad altri fondò, ad esempio, nel 1922 il circolo “Giuseppe Turati” con il quale pubblicò un settimanale chiamato La povera gente; quella “povera” gente che sarà attrice e destinataria della sua passione. E, con il tempo, giungerà – come accade anche a Calì – a concepire come massima espressione della povertà popolare l’essere espropriati della “parola”, essere derubati della lingua materna.
Partecipò alla Grande guerra ed in Lombardia prese parte attiva alla Resistenza; a Milano, tra gli altri, ha modo di incontrare e frequentare alcuni siciliani “importanti” quali Salvatore Quasimodo (che tradurrà in italiano la sua raccolta Lu pani si chiama pani del 1954 e che gli farà meritare da Sciascia un rimprovero: «…una sola volta ha commesso un errore, facendosi tradurre da Quasimodo e tutti hanno letto Quasimodo e non hanno letto Buttitta») ed Elio Vittorini.
Si diceva della sua propensione a portare direttamente la poesia tra la gente e, infatti, fra le sue pubblicazioni spiccano Io faccio il poeta (del 1972) e Il poeta in piazza (del 1974) in cui quel “faccio” si impone in maniera prepotente all’attenzione del lettore per la evidente implicita contrapposizione al termine “sono” che rimane sottaciuto; è come immaginare di essere una sorta di “artigiano” della poesia, alla stessa maniera in cui Quasimodo si definisce “operaio di sogni”; questo essere artigiano facilita l’approccio del poeta che elegge la piazza a luogo deputato per l’incontro con il popolo.
A dar corpo e voce a Buttitta è stato Mario Sorbello con uno spettacolo-recital (niente leggio, tuttavia!) dal titolo La mia vita vorrei scrivere cantando – viaggio nel mondo di Ignazio Buttitta, prodotto dalla Compagnia C. G. S. Karol. Il regista ed attore utilizza – modificandola lievemente (“scrivere” in luogo dell’originale “scriverla”) – un’espressione dell’autore, divenuta un refrain; per i tipi di Sellerio nel 1999 è uscito, infatti, un volumetto dal titolo, appunto “Ignazio Buttitta – La mia vita vorrei scriverla cantando” e lo stesso titolo è stato dato dal palermitano Franco Scaldati ad una performance a cui ha preso parte anche la grande cantante catanese (ma forse più conosciuta nei paesi di lingua tedesca) Etta Scollo.
Al Piccolo di Paternò Sorbello si è proposto di far rivivere l’uomo di Bagheria attraverso i versi che ricordano anni di lotta sociale e politica, evocando i temi – sempre attuali – della religiosità, della famiglia, dei figli, della povertà, del rispetto della donna, dell’emigrazione, della guerra e della sottocultura mafiosa. Attraverso i versi che non vanno “letti” ma “detti”, secondo il principio caro all’autore, («la parola-voce, il poetare che coincide con l’esistere»), lo spettacolo racconta quasi un secolo di storia utilizzando il siciliano come lingua, che è doveroso diffondere fra le nuove generazioni. «Infatti – si legge nelle note di regia – attraverso la poesia “Lingua e dialetto”, con la quale apro lo spettacolo, delineo l’ambito entro il quale si muove il poeta di Bagheria. Un populu diventa poviru e servu si c’arrobbanu la lingua addutata di li patri. È persu ppi sempri («Un popolo diventa povero se è derubato della lingua che ha ricevuto in dote dai padri. È perso irrimediabilmente»; n. d. r.)…».
Lo spettacolo restituisce tutto questo attraverso un percorso biografico che si spinge, persino e con insistenza, dentro ai rapporti con l’altro sesso, a cominciare dal forte accenno posto sulla madre e dai richiami a svariate “debolezze”.
Nella realizzazione della performance si è avvalso della partecipazione eccezionale di Turi Mancuso – conosciuto anche come autore dei musical Orlando pazzo, U cuntu, tratto da Vanni Lupo, e Cavalleria rusticana – che, accompagnandosi con la chitarra, ha riproposto alcuni suoi motivi originali.
Migliore conclusione a una serata dedicata a Buttitta non poteva essere data se non da una “chicca” che è consistita nell’intervento di Paolo e Cettina Busacca, rispettivamente figlio e nipote di Francesco-Ciccio Busacca. Chiusura pertinente per due motivi. Intanto, perché Ciccio (che è il più conosciuto dei cantastorie siciliani è quello che ha reso commestibile all’intera Penisola la tradizione, appartenente più alla Sicilia orientale, e complementare a quella del Cunto, che è più occidentale) ha avuto vari contatti con Buttitta, avendone anche musicato e interpretato il celeberrimo Lamentu pi la morti di Turiddu Carnevale. Si ricorderanno anche le tante importanti collaborazioni, tra cui quella con Rosa Balistreri e con il premio Nobel Dario Fo.
Il secondo motivo è che Busacca era paternese e Paternò è quasi un incubatore per il movimento dei cantastorie (seppure sia doveroso ricordare, anche l’altro polo, Riposto) a cui da qualche tempo ha dedicato una sede-museo volta a rendere viva e attiva questa forma d’arte. Paolo e Cettina Busacca hanno ripreso alcuni temi cari a Ciccio, aggiungendo una venatura di commozione (soprattutto nel ricordo dei fatti di Avola) al complessivo successo della serata.
Salvo Nicotra
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Gio, Dic 11, 2014
Spettacolo