“Il seminarista” di Gabriele Cecconi
La distanza abnorme tra la vita dei ragazzini e la disciplina imposta
Film di ricordi ben ritenuti Il seminarista di Gabriele Cecconi; ricordi scolpiti nella memoria data l’età in cui l’educazione in seminario si compie, tra i 10 e i 18 anni, presumibilmente. Scolpiti così bene che il regista, sceneggiatore insieme con Ugo Chiti, sembra aver vissuto quell’età ed esperienza e ha scritto questo suo primo lungometraggio con un certo rigore storico, concedendo qualcosa all’amarcord e alla critica della struttura del seminario insieme. Guido, oggi professore, rivede da una fessura tra il cancello e il muro – e dal colore dell’attualità passa al bianco e nero dei ricordi anni 50 – il cortile che riecheggia le voci dei suoi compagni di seminario, ragazzi adolescenti per i quali quella scelta aveva le motivazioni più diverse: il prete della parrocchia che aveva “visto” in loro la vocazione o “la chiamata del Signore”, il ragazzo a cui il prete sull’altare sembrava l’uomo più importante del mondo e, forse la più importante e diffusa, il poter studiare senza spese per la famiglia.
E’ abnorme la distanza tra la vita di quei ragazzini e la disciplina che quell’educazione imponeva. Essi erano naturalmente dediti ai giochi della loro età: il calcio e il gioco delle biglie in cortile, il commercio di figurine di calciatori o di santini, presto soppiantate da quelle dei calendarietti profumati dei parrucchieri, con donne discinte. In camerata i pantaloni si potevano abbassare per mettersi a letto solo dopo che le luci venivano spente, col prefetto che sentinellava ancora un po’, via i calzettoni contro il freddo a letto perché un seminarista doveva saper sopportare quel sacrificio, evitare di toccare certe parti del corpo facendosi la doccia, usare come antidoto ai “pensieri cattivi” l’idea che quei corpi femminili visti sulle locandine del cinema sarebbero poi marciti, non idealizzare la vita di fuori – molte sono parole del padre spirituale o direttore del seminario, nel film – perché la vera felicità era solo là dentro, la virtù che consisteva nella rinuncia, il latino da studiare in quinta elementare perché quella era la lingua ufficiale in Vaticano, i 100 Pater Ave Gloria di penitenza alla confessione. Ancora più lontano dalla concezione dei ragazzi era che le verità della Chiesa sono per sempre, proprio perciò essa non cambia (va) opinione da 2000 anni e che uno dei suoi scopi era la conversione della Russia, perché mai s’erano date persecuzioni così crudeli come quella comunista (… fatte salve le Crociate di “Dio lo vuole”, forse, ndr). Don Milani che affrontava questioni vitali per la gente comune passò per un sovversivo, da allontanare (e chissà se don Andrea Gallo verrà presto dimenticato dalla Chiesa oggi o se invece verrà fatto santo, insieme a tanti altri preti di strada attuali, “con su le maniche”).
La fessura tra il cancello e il muro di cinta e le occhiate in chiesa diventarono però per Guido la strada per arrivare a Giulia: sarebbe stato un peccato che i desideri di quei ragazzi venissero mortificati al punto di negarsi la conoscenza del mondo fuori o “liberarsi dai peccati e da ogni turbamento”. Quando i ragazzi uscivano in passeggiata, sorvegliati dal prefetto, le locandine del cinema erano fonte di tentazione, si dava Non perdiamo la testa con Ugo Tognazzi e La dolce vita allora, ma il padre spirituale la correggeva in vita dissoluta, e lui stesso copriva con la mano davanti al proiettore il corpo in giarrettiere di Marilyn Monroe ne La magnifica preda del 1954. In fondo si può affermare che quelle discipline, gli “ordini superiori”, il silenzio sui fatti, il nascondere, sopire, celare erano intrisi di violenza, di negazione di normali ragionamenti che i ragazzi crescendo potevano farsi (Guido non riusciva a spiegarsi ad esempio perché, comunque lui avesse deciso, se per Giulia o per proseguire gli studi teologici, avrebbe dovuto tradire qualcuno). Quando Guido dall’esterno del muro vede il cortile alla fine del film vi sono due preti giovani in bianco e nero che gli sorridono, forse due ex compagni, erano forse queste le percentuali di riuscita di queste vocazioni, due su tante decine. Giovanni Papini 100 anni fa scriveva:«Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengono rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi».
Angelo Umana
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Mar, Set 23, 2014
Spettacolo