“Centauro di carta” di Alessandra Jesi Soligoni
Lun, Set 8, 2014
Figli morti in incidenti stradali e genitori straziati dal dolore
La trevigiana Alessandra Jesi Soligoni, nota scrittrice per l’adolescenza, ha prodotto una serie di fortunati romanzi, a volte usciti in più edizioni, in cui ha affrontato varie tematiche relative a quest’età certamente difficile per l’educazione e la crescita. Ora lei nel romanzo Centauro di carta (Aurelia, Asolo, 2012, pp. 120, € 13,50) non soltanto è tornata su queste tematiche con un sedicenne appassionato di motociclette e presto morto in un incidente, ma ha anche scandagliato con fine analisi psicologica le figure dei dolenti genitori, e in particolare quella della madre.
In varie pagine il giovane Marco è definito viziato, prepotente, tiranno, invasato. Disubbidiente come Icaro, egli non ascolta le parole dei genitori e fa tutto di testa sua. Bocciato a scuola, coltiva la passione per il motociclismo, ammirando in camera sua un grande affisso riproducente un centauro, fino a farsi acquistare una potente motocicletta dal padre, nonostante l’opposizione della madre che ne paventa i pericoli. Ma egli poco dopo trova la morte nel tentativo d’emulare un corridore su un percorso di gara che il padre pur gli aveva proibito di tentare subito. E così il centauro di carta dell’affisso murale rappresenta la fragilità d’un principiante che nella sua presunzione si sbriciola per imprudenza e imperizia.
Dopo l’incidente la madre si barcamena fra realtà, fantasia e follia, costringe il marito ad una lunga vacanza solitaria e nella solitudine d’una città agostana entra in una dimensione surreale, farneticando col figlio morto e cercando ambienti, cose e persone che il figlio stesso frequentava, fra cui la fidanzatina Luisa. Fra gli ambienti ovviamente c’è la scuola, che in Settembre si rianima e pullula di vita. E quando lei si fa condurre al luogo dell’incidente, la croce posta da qualche pia mano non le dice niente, perché lei ha perso la fede e le riesce difficile incontrarsi con Cristo. Il vuoto domina e nemmeno la magia dei colori autunnali ha più qualcosa da esprimere, perché nell’opinione della madre il figlio è morto volando in cerca della bellezza e dell’armonia dell’universo e nel vano tentativo di conquistarsi l’attenzione d’un amico.
A questo punto forse i lettori s’aspetterebbero una decisione di divorzio dei coniugi, ognuno dei quali imputava all’altro la responsabilità dell’accaduto. Ma non è così: dopo un periodo di tensioni e dopo che la madre ha scoperto nel diario di Marco l’inquietante frase “Perché mi hanno messo al mondo?”, ognuno dei due riconosce la sua responsabilità e aiuta l’altro a venirne fuori; la coppia si ricompatta e alla fine la madre ad un compagno del figlio invitato a casa non soltanto regala un oggetto fra quelli di Marco a lui piacente, e nella fattispecie il famigerato centauro di carta dell’affisso murale (che così viene rimosso da quella casa), ma addirittura gli annuncia in un pianto di liberazione la prossima nascita d’un fratello del defunto.
In conclusione non si può non sottolineare la molteplice positività di questo lavoro: l’autrice, che ha partecipato da esperta a convegni e seminari sull’educazione giovanile, lancia un messaggio importante affinché i genitori non siano sempre condiscendenti coi figli e non facciano sì che per loro, come per il protagonista di questo romanzo, i sogni, gl’ideali e lo scopo stesso della vita si riducano al binomio “una moto e una ragazza”. Altro messaggio importante consiste nel mantenimento e anzi nel rafforzamento del vincolo coniugale in situazioni così drammatiche, al di là del ricorso al facile divorzio. A quest’ultimo riguardo, questo romanzo richiama Piccolo mondo antico d’Antonio Fogazzaro, in cui c’è una figlia che muore in tenera età, mentre i genitori, dopo un periodo d’incomprensioni e di distanza, nonché di perdita della fede da parte della madre, si ricompattano e nella nuova intesa concepiscono un altro figlio.
La forma grafico-editoriale di questo libro è elegante, pur con qualche capoverso non rientrante, e il romanzo si legge piacevolmente, nonostante qualche svista (ad es. a p. 75 Luisa deve intendersi Eleonora) e una punteggiatura carente nei vocativi, che può suscitare equivoci d’interpretazione. Le parole straniere non sono tipograficamente differenziate, ma l’autrice biasima la mania d’imporre nomi stranieri ai figli (ad es. a p.77 scrive: “Strano nome Rudy. Meglio Rodolfo”).
Con tutto ciò il romanzo Centauro di carta d’Alessandra Jesi Soligoni va consigliato non soltanto ai figli, ma anche ai genitori e ai docenti, dato il delicato compito a cui sono chiamati.
Carmelo Ciccia
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bellissima storia, coinvolgente, fa pensare al timore della perdita di un figlio per quei genitori che, ad una età avanzata, non potrebbero più averne.