Pietro Scaglione Junior disapprova Macaluso per non aver rivalutato nell’ultima edizione di “La mafia e lo Stato”l’omonimo nonno-magistrato ucciso dalla mafia *
L’annuncio della presentazione di La mafia e lo Stato di Emanuele Macaluso, all’Università di Catania e a Misterbianco (10 e 12 aprile), mette sul chi va là il dott. Pietro Scaglione, nipote dell’omonimo procuratore capo della Repubblica, assassinato l’11 maggio del 1971«nella stretta e tortuosa via dei Cipressi» di Palermo con «una gragnuola di revolverate» mafiose, perché il libro, uscito nel 1972, per i tipi Editori Riuniti di Roma, ripubblicato nell’agosto del 2013, per i tipi Edizioni di storia e studi sociali, con l’aggiunta di un nuovo capitolo “Mafia e Stato, dalla prima alla seconda Repubblica”, non rivaluta la figura del nonno, riconosciuta – mi scrive – «vittima innocente della mafia e del dovere» e mi sottopone all’attenzione un link (v. http link successivo) di Edizioni di storia, dove il proprio padre, prof. Antonio Scaglione, mette di seguito alcune note di chiarimento sull’esemplarità e incolpevolezza del padre, citando, per prima, in sua difesa, la «motivazione della sentenza 1 luglio 1075 n. 319 della Corte di appello di Genova, sezione I penale, passata in giudicato a seguito di conferma della Cassazione, pubblicata in camera dei deputati, IX legislatura, Atti della Commissione parlamentare antimafia. Documenti 1984, vol. IV, tomo 23, doc. 1132, pag. 729 ss.)» e, poi, precisando, attraverso il Ministero della Giustizia (decreto n. 3772 10/11/91) che al defunto Scaglione è stato riconosciuto «lo status di “magistrato”, caduto vittima del dovere e della mafia»; che in merito al “caso Liggio”, dagli atti giudiziari, risulta non vero che il procuratore Scaglione si sia «“rifiutato di stanziare i fondi” per il recupero della salma del sindacalista Placido Rizzotto. Peraltro, proprio nel processo Rizzotto, il dott. Pietro Scaglione, all’epoca sostituto procuratore generale, richiese, in data 14 dicembre 1952, il rinvio a giudizio di Luciano Liggio e di altri imputati.» E altre precisazioni giuridiche fino alle dichiarazioni difensive di Paolo Borsellino, Pietro Grasso e Luciano Violante, dopo essere passato dal ruolo del padre-magistrato come accusatore nel processo sull’assassinio di Salvatore Carnevale (e per ogni specificità si rimanda al link http://www.edizionidistoria com/notizie, 30/09/2013, dove il figlio Antonio puntualizza che «Tutte le notizie riportate nel libro […] relative a “speculatori edilizi e uomini politici”, nonché al “processo Banco di Sicilia”, sono già state oggetto di specifico accertamento da parte dell’Autorità giudiziaria e sono risultate mancanti del requisito “della verità e della obiettività”.» Seguiranno poi ancora, in una mail del nipote del magistrato ucciso, dell’8/4/14, tante altre dichiarazioni a favore del nonno; da parte di:John Dickie (storico inglese), Gian Carlo Caselli (magistrato), Indro Montanelli (giornalista), Enzo Biagi (giornalista), Francesco Renda (storico) Salvatore Lupo (docente universitario-storico), Leoluca Orlando (deputato-docente universitario), Sonia Alfano (Presidente della Commissione Antimafia Europea e dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia) e altri.
Alla mia domanda specifica, all’Università, a Macaluso sulle motivazioni del figlio e del nipote di Scaglione a difesa del loro caro, la risposta dell’Autore è stata senza reticenze: «A prescindere che quanto ho scritto nel capitolo “Morte di un commissario” è già un documento storico e come tale intoccabile, oggi, riguardo ai fatti particolari allora raccontati, attraverso notizie giornalistiche, non ho elementi sufficienti per non condividerli.» E i fatti del tempo avevano fatto dire al sen. Macaluso che «Non è nella tradizione della mafia uccidere un magistrato […] se ha osato un gesto tanto audace, anche eccezionalmente gravi devono essere le sue ragioni.» E veramente gravi le «ragioni» le trovarono molti giornali, fino al punto che l’Avanti! azzarda: «Con Pietro Scaglione muore un uomo-simbolo: il simbolo del legame fra potere statale e potere mafioso». Nel tempo a seguire, però, non ci sono state poi prove evidenti sulle responsabilità morali e penali del procuratore Scaglione e l’Avanti! stesso (9/11/79) fa marcia indietro.
Come mai allora una risposta così perentoria in Macaluso? La risposta starebbe, oltre che nella difesa del «documento storico» nel non essersi sciolto ancora ciò che egli scrisse (se l’impersonale del libro è in prima persona) sull’Unità, dopo il delitto: «Oggi il procuratore Scaglione è caduto vittima di un sistema che non volle combattere con i poteri a lui conferiti. Analogamente in passato non si volle fare luce sulle responsabilità della strage di Portella delle Ginestre, dell’uccisione di Giuliano, dell’avvelenamento in carcere di Pisciotta, che coinvolgevano uomini politici ed alti esponenti dell’apparato dello Stato. I gruppi di potere democristiani […] hanno sempre avuto un’influenza decisiva […] sulla nomina di questori, di prefetti e, diciamolo pure, anche sulla carriera di certi magistrati.»
Ma a leggere il nipote, nell’ultima particolareggiata mail, che mi scrive, il nonno invece «chiese ergastoli per Liggio e fu il primo magistrato nella storia d’Italia a inquisire Liggio!»; fu «il primo a chiedere ergastoli per gli assassini di Rizzotto»; e sostiene che Emanuele Macaluso cade in tanti errori come quando afferma che «il regalo di nozze per mia zia non era ovviamente del mafioso Liggio che mio nonno perseguiva da 20 anni e da cui era odiato perché causa di tutti i suoi ergastoli, ma di Riggio, parenti dello sposo (che si chiamava appunto Riggio).»
Sembrerebbe intonata anche la campana di Pietro Scaglione-nipote; per cui, finché non ci saranno prove oggettive sul “caso Scaglione”, nemmeno l’attenta analisi di uno storico potrà essere luce meridiana.
Pino Pesce
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Sab, Mag 24, 2014
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