Il privilegio di ascoltare Albertazzi all’“ABC” di Catania
“Le lezioni americane” di Calvino nella superba interpretazione di un Grande del Teatro
Difficile immaginare che, varcare le soglie del Teatro “ABC” di Catania dal 13 al 16 marzo, avrebbe potuto rappresentare, per quanti erano presenti, l’occasione privilegiatissima di poter assistere ad uno degli eventi più eletti nel panorama artistico internazionale!
Gremita interamente l’enorme sala, in contrapposizione ad uno scenario essenziale, minimalista, scarno… Una scrivania, un computer, libri sparpagliati, quadri accatastati, una violoncellista (Anca Pavel) che a malapena si affaccia ed accenna qualche melodia, una ragazza, nel ruolo di allieva (Stefania Masala), e Lui: Giorgio Albertazzi/Italo Calvino.
Quasi in apnea, col respiro sospeso, attenti a non perdere nessuna parola o suono, il pubblico ha bevuto tutto d’un fiato uno spettacolo di quasi due ore, difficilissimo per i contenuti e per gli agganci culturali ricchi e vari ma che, per la superba maestria di questo gigante del teatro, è stato reso accessibile nella sua essenza globale a tutti, e negli infiniti dettagli, a molti.
Si tratta di Lezioni americane, un progetto affidato ad Italo Calvino e scritte nel 1985 per le “Charles Eliot Norton Poetry Lectures” della Harvard University. Ognuna delle lezioni ha un argomento differente: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità, coerenza. L’invito era un vero evento per la nostra cultura, Calvino sarebbe stato il primo italiano a tenere quelle conferenze, preceduto negli anni dalle più grandi personalità della letteratura mondiale: T.S.Eliot, Stravinsky, Borges, Northrop Frye, Octavio Paz.
Sfortunatamente, lo scrittore morirà qualche mese prima della partenza per l’America, e le Lezioni resteranno allo stato di manoscritto, in mezzo a tutte le carte, gli appunti e gli scritti inediti.
Alcuni anni dopo, sua moglie, Esther Calvino, le fece pubblicare sotto il titolo di Lezioni americane – Six memos for the next millenium (Sei proposte per il prossimo millennio).
«Vorrei recitare il Calvino delle Lezioni – dichiara Albertazzi in una sua intervista – opere che non sono mai state concepite per il teatro. Ho fatto mio, il simbolo augurale di Calvino per questo Millennio, l‘agile salto di un poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della stessa leggerezza».
Ma mettere sulla scena un lavoro pensato per una conferenza e che prevedeva un certo target di fruitori, ha richiesto anche un adattamento e una regia fuori dal comune, chiamando in causa un grande: Orlando Forioso.
«Sarà uno spettacolo costruito, appunto, con la leggerezza che dovrebbe contraddistinguere tutti i portatori sani di scrittura ed arte in generale» spiega il regista che aggiunge: «Albertazzi diventerà Calvino e durante il racconto, la studentessa prenderà in mano una telecamera ed inizierà a riprendere tutto…».
Così Giorgio Albertazzi è il Conferenziere che attraverso le parole di Calvino guida gli spettatori in questo viaggio, un viaggio vertiginoso, alla ricerca della Leggerezza, attraverso percorsi imprevedibili ed esaltanti che si contrappongono per provenienze temporali e culturali e tenuti assieme da comuni denominatori così sottili e impercettibili eppure così evidenti e sostanziali, grazie alla logica dotta e sapiente di Calvino, e alla magnifica traduzione narrativa e interpretativa del grande mediatore Albertazzi.
Nel lungo ed articolato argomentare sulla Leggerezza, contrapposizione tra peso corporeo della vita e astrazione sostanziale del materiale, dimensione esistenziale fondamentale e complementare all’un tempo, habitus etico ed estetico, con cui andare incontro al nuovo millennio, l’ Albertazzi/Calvino dà saggio continuo di una recitazione che è divenuta un tutt’uno con la condivisione dei suoi stessi dettagliati contenuti.
All’interno di un incalzare incessante di citazioni, difficili e complesse, per la modalità con cui deve porgerle al pubblico oltre che a se stesso, perché risultino convincenti nella sua logica metodologica e contenutistica, a giustificazione della premessa, Albertazzi riesce a sorprendere oltremisura, tirando fuori dalla manica la recita di quattro assolo, quattro lunghi canti/poesie, come gemme incastonate in quella trama complessa, raffinata, condotta sui fili della ricerca e della riflessione.
«Capace di essere uno e centomila», passa con incredibile disinvoltura dall’amletico monologo Essere o non essere, di Shakespeare, a La pioggia nel pineto, di dannunziana memoria, con toni inconsueti, calandosi quasi in un linguaggio parlato ancorché recitato o discusso ed è tutta una magnifica scoperta di possibilità interpretative.
Così, sostenuto ora dalla filosofia dell’amore di Guido Cavalcanti, ora dall’atomismo di Lucrezio nel De rerum natura, passando attraverso la magia rinascimentale di Shakespeare e le Metamorfosi di Ovidio, indugiando lungamente sulla Divina Commedia di Dante per poi passare a Kafka, quindi a Leopardi, e Montale e Cervantes e fondendosi in un accordo concettuale di sublimazione appercettiva ed esperienziale con Kundera, Albertazzi/Calvino, restituisce il suo distillato meditativo ad un pubblico incredulo per tanta pienezza!
Come un venticello, uno zefiro, che coi suoi vortici passa attraverso le cose, ne rapisce il profumo e lo trasporta su altre rive, così Albertazzi conduce la sua recita, difficile, perfetta, resa possibile solo da una lunga e macerata formazione artistica che, al suo epilogo,(classe 1923, come Calvino) si fonde con la dimensione umana.
Sulla scena, il maestro di Fiesole simula la preparazione del tema della conferenza assistito da una giovane allieva, espediente ingegnoso, poiché assolve ad una funzione di mediazione: lo filma, mentre cerca di capire e seguire il filo logico delle sue riflessioni, offre delucidazioni, raccorda il flusso dello spaziare dei pensieri, opera sintesi provvisorie di certi passaggi, per un lavoro che si presenta in divenire e non ancora pronto per quella conferenza.
Allo stesso tempo, sul fondale della scena, essenziale ma già piena di riflessioni e concetti, si susseguono immagini, frammenti di vita dello stesso Albertazzi, e in questa apparente staticità, lui si muove con gesti sapienti e misurati seguendo la cadenza che pensieri e parole gli dettano in un monologo stupendo.
Ancora una sintesi può essere operata nella lettura dei flash: la violoncellista per la musica, i quadri per la pittura, i libri per la poesia, la letteratura e la scienza e la filosofia, i filmati di vita vissuta, e la solitudine di uno studio, possono ulteriormente essere letti come segni di quei percorsi ineludibili per conquistare il vero essenziale nettare che, partendo dalla materia, da essa stessa se ne distacca per divenire immagine della stessa in una appercezione sublime, a tratti metafisica, che pur contenendo il tutto, non ne porta più il peso, «come il mito di Perseo che per affrontare Medusa e il suo sguardo pietrificante ne guarda il riflesso sul suo scudo».
Una immediata standing ovation segna l’ultima battuta di uno spettacolo che avrei rivisto ancora e ancora, mentre a scena chiusa, il grande artista, aggiunge ogni sera una personale riflessione legata allo spettacolo, alla vita al tempo….
Ha ancora da dare tantissimo al teatro italiano e tanto ancora avrebbero da imparare certi attori che si sentono arrivati, scambiando la buona memoria per capacità interpretative e che invece tediano oltremisura un pubblico che chiede autentica qualità e professionalità.
La simbiosi perfetta tra la straordinaria professionalità ed un testo di indiscutibile valore e a lui perfettamente congeniale, rende lo spettacolo assolutamente godibile e nobilita quel teatro impegnato che tratta la cultura e letteratura in modo arguto, raffinato e per nulla stagnante.
E sono i prodotti di questo livello che riscattano, dimostrando che è tutt’altro che morto, a dispetto di tutti i tagli e i sempre più esigui finanziamenti pubblici che limitano o glissano con inaccettabile superficialità le infinite valenze culturali sociali e pedagogiche.
Norma Viscusi
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Lun, Mag 5, 2014
Spettacolo