“Il berretto a sonagli” di Pirandello al “Metropolitan” di Catania
Il Ciampa di Francesco Bellomo dà a Pino Caruso eleganza e stile
Non c’è stata nessuna poltrona vuota il 18 e il 19 gennaio, al teatro Metropolitan di Catania, per le rappresentazioni de Il berretto a sonagli, nota commedia pirandelliana, che ha avuto nel suo personaggio più eloquente (Ciampa, l’uomo “pupo”) un grande attore siciliano: Pino Caruso. In due serate (tre recite) circa 5500 persone hanno visto lo spettacolo: una straordinaria presenza di pubblico in questo particolare momento di abbandono delle sale teatrali.
L’opera, un’intricata vicenda senza i prevedibili e auspicabili “lieto fine”, è stata la celebrazione del paradosso e dell’annichilimento dell’uomo, vittima delle trappole delle regole e delle convenzioni.
La signora Beatrice Fiorica (Emanuela Muni), vinta dalla gelosia, denuncia al commissario Spanò (Franco Mirabella), la giovane moglie di Ciampa (Anna Rita Granatiera) che se la intendeva con il marito, cav. Fiorica.
Ciampa, scrivano della famiglia Fiorica, pur sapendo della relazione, la tollera purché sia fatta salva la sua rispettabilità e quindi cerca di convincere la signora Beatrice a non fare la denuncia; suggerendole di usare la “corda seria”, quella della ragione, per evitare scandali.
Per Ciampa, tutti gli uomini hanno sulla fronte tre corde come d’orologio: la “civile”, in mezzo alla fronte, che ci aiuta a stare in società e a comportarci bene; la “seria”, sulla tempia destra, che ci permette di parlare saggiamente e, infine, sulla tempia sinistra, la corda “pazza”, quella che ci fa perdere la ragione. Dunque queste tre corde governano gli uomini, le loro scelte e ne condizionano gli eventi.
La signora Beatrice, per natura ribelle e insofferente alla finzione e al compromesso, coraggiosa oltre che gelosa, trascura la lezione di Ciampa e riesce nell’intento di smascherare i due amanti. Scoppia quindi lo scandalo nonostante ella abbia contro la madre, il fratello e la serva.
Per il povero marito tradito l’onore è compromesso. Soltanto uccidendo gli adulteri, Ciampa potrà riacquistare la rispettabilità, ma a questa soluzione, scontata in una trama veristica, Pirandello ne contrappone una più rispondente alle sue tematiche di sottile raziocinio fino ai sofismi autoprotettivi.
Il commissario Spanò (lodevole nella sua spassosa tragicomicità) fa in modo di dimostrare che tra il cav. Fiorica e la giovane Nina Ciampa non è successo nulla, ma Ciampa non è affatto d’accordo: ormai molto rumore si è fatto intorno a lui e adesso che tutti sanno che porta “il berretto a sonagli”, cioè il cappello da becco, vuol vendicarsi, ma come?
La soluzione a sorpresa, inverosimile nella sua paradossale probabilità, si impone davanti all’evidenza, capovolgendo le sorti e le pene! Far credere a tutti che Beatrice sia pazza e che il tradimento del cav. Fiorica sia stato una sua montatura.
L’idea di Ciampa piace a tutti tranne a Beatrice che, oltre al danno, subisce la beffa; ma, alla fine, la donna, convinta dalla madre (una splendida Anna Malvica) e dal fratello Fifì (Alessio di Clemente), per il bene di tutti, si presta a recitare il ruolo della pazza e a farsi ricoverare per qualche tempo in una casa di cura. In questo modo Ciampa può ristabilire l’ordine e salvare la propria rispettabilità.
Ora, i punti di riflessione cui rimandano le scelte interpretative dei due protagonisti Beatrice (Muni) e Ciampa (Caruso), sono davvero conflittuali, al di là dei luoghi comuni relativi più all’“essere” che al “sembrare” e a tutte le logiche perbeniste, provinciali o bigotte, che dir si voglia.
I due rappresentano il Giano Bifronte di ciascuno nelle scelte radicali che ci pone la vita. Chi può dire veramente quale sia la più giusta e in base a quali criteri?
Certo, Beatrice è una donna di fuoco, appassiona, innamorata e leale e che per amore ferito e tradito ha il coraggio di buttare in aria tutto, senza badare a nessuna conseguenza perché per lei il compromesso e la menzogna sono inaccettabili e come un ardito guerriero va incontro a tutto. D’altro canto, Ciampa, sullo stesso tavolo butta giù le carte della saggezza, del buon senso, della temperanza, che non necessariamente fanno di lui solo un “pupo”, ma forse anche un uomo fatto, che conosce il mondo e sa che và così! Che non c’è nulla di nuovo sotto il sole e che darsi in pasto allo scandalo, ai pettegolezzi, alle impietose curiosità e commenti maldicenti della gente, non giova a nessuno. Quindi il tono accomodante, dimesso che Pino Caruso sa ben gestire senza tante esagitazioni e sobbalzi verbali; uno “stile” che di necessità si contrappone a quello di Beatrice, anche se legittimata ad assumerlo ubbidendo alle difese imposte dalla natura.
Può andar anche bene essere “pupi”. Ma guai se veniamo considerati tali dagli altri! In questo caso l’amor proprio prende il sopravvento, il rispetto di sé chiede riconoscimento e allora la fantasia si scatena nel cercare e trovare soluzioni che, per quanto folli, stanno bene a tutti, perché nessuno può fare a meno di una immagine di sé che non sia dignitosa e condivisa.
La soluzione della pazzia, in fondo, nel suo paradosso, potrebbe farsi morale in difesa di una dignità da difendere agli occhi della gente.
In ogni caso, gradevolissima tutta la rappresentazione in tutti i suoi dosaggi. Pino Caruso ne esce un gran maestro di stile e di eleganza sapendo cogliere un Ciampa complesso e dignitoso. Brilla, in modo particolare, Franco Mirabella nei panni di Spanò. Ottima la regia di Francesco Bellomo che sa dar luce anche ai personaggi secondari: la Saracena (Carmen Di Marzo), Fana (Matilde Piana) e Nina Ciampa (Alessandra Ferrara), le quali si impongono all’attenzione non privi di mordente!
Norma Viscusi
Gio, Feb 20, 2014
Spettacolo