“Ultima notte mia” al Teatro “i” di Milano
Uno struggente monologo di Aldo Nove nella regia di Michele De Vita Conti
Da sola, in un letto a due piazze che diventa all’occorrenza alcova, rifugio, luogo di studio e riflessione, Mia Martini, interpretata da una Erika Urban in splendida forma, racconta la propria vita in un monologo venato di struggente malinconia. E questo al Teatro “i” di Milano.
Nella pièce, l’attrice ripercorre l’esistenza della cantante di Bagnara Calabra, dalla nascita della passione per la musica ed il canto, ancora adolescente, in una Calabria indurita dai postumi della seconda guerra mondiale, alla solitudine che non smetterà mai di farle compagnia. Dal paese vicino al mare, la giovane Domenica va a Milano, che negli anni ’60 è “la luna”, luogo per eccellenza del fermento musicale in Italia, fucina di nuovi talenti. Ed è proprio nel capoluogo lombardo che inizia la parte rosea della sua carriera, una casa discografica riconosce il suo talento e decide di investire su di lei. Da quel momento la carriera di Mia Martini è in ascesa, inizia un periodo felice e scanzonato, fatto di tournée, di viaggi insieme alla sorella Loredana ed all’amico Renato Zero. È l’Italia del boom economico, della diffusione della cultura anglosassone, della libertà e del benessere. Eppure, proprio in quel contesto, la giovane Mimì conosce il primo dolore: l’esperienza del carcere in cui finisce per un anno per possesso di pochi grammi di hashish. Ne segue una rinascita, di nuovo il successo e i concerti lungo tutta la penisola. Ma il belpaese è pronto per infliggerle un nuovo dolore, stavolta più grande e definitivo. Il crollo di un telone che copriva un palco, dove Mia doveva esibirsi, e un tragico incidente d’auto, in cui persero la vita due musicisti della sua band, decretano la fama di jettatrice della cantante. Allora la provincia ottusa, da cui la giovanissima Mimì era fuggita, allargò i confini e diventò l’Italia intera che, dopo il boom economico, si scopre più provinciale di prima, ed ingaggia una caccia alle streghe silenziosa e dolorosa nei confronti di un’artista estremamente sensibile e fragile.
La più bieca superstizione si insidia negli ambienti della musica che conta, tramanager di successo, case discografiche in ascesa, locali di grido, e trasmissioni televisive in voga.
Inizia la discesa negli abissi di una solitudine da cui la fragile Mimì non risalirà più.
Erika Urban dà vita al dolore di una grande artista con un sapiente uso della fisicità che ben si addice alla scrittura limpida e sincera di Aldo Nove, autore del monologo, cui però si accompagna il limite della regia di Michele De Vita Conti per aver concentrato la vicenda di Mia Martini all’episodio più doloroso della sua vita, lasciando ai margini ciò che realmente l’artista ha regalato al mondo della musica. L’unico brano che viene utilizzato è E non finisce mica il cielo, tralasciando altri grandi successi come Almeno tu nell’universo, Gli uomini non cambiano, Minuetto,che ne hanno segnato la carriera e l’esistenza.
Laura Timpanaro
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Mer, Nov 6, 2013
Primo Piano, Spettacolo