“L’intrepido”, un lungometraggio di Gianni Amelio
Un uomo bonario e un po’ noioso in una trama poco coraggiosa e deludente
Al recente Festival di Venezia, Gianni Amelio porta L’intrepido, un lungometraggio su un tenace ottimista negli anni della crisi che si muove in una trama poco coraggiosa dal ritmo lento. Pare ci sia nel film la volontà registica di rimanere in superficie senza approfondire il disegno dei personaggi che nel risultato deludono.
Milano 2013, l’anno più scuro della crisi. Antonio Pane (Antonio Albanese), cinquantenne lombardo d’adozione, per adattarsi alla perdita del proprio lavoro, si dimena tra piccoli impieghi molto saltuari, sostituendo, in nero e per pochi spiccioli, i lavoratori regolari.
Un personaggio che nel proprio cognome ha scritto il proprio animo, buono come il pane, Antonio è l’intrepido della situazione, capace di non scoraggiarsi dopo mille delusioni, dopo un matrimonio finito male, un lavoro perso sulla soglia della maturità e le difficoltà quotidiane per restare a galla, vivendo in modo onesto negli anni bui della crisi. Barricato nel proprio ottimismo, Antonio vive decine di esistenze, da impiegato al banco del pesce a muratore a cottimo, da bibliotecario ad addetto alle pulizie, mettendo ovunque la stessa dose d’impegno ed entusiasmo. La vita semplice e limpida del protagonista è scandita dagli incontri con il figlio ventenne, sassofonista estremamente sensibile, con cui condivide la passione per la musica e dalle visite ad un losco personaggio che gli procura lavori occasionali. Mentre le giornate scorrono grigie, Antonio ad un concorso pubblico conosce Lucia (Livia Rossi), una ragazza che ha la metà dei suoi anni ed un decimo del suo entusiasmo. Inizia un’amicizia molto intensa, destinata ad interrompersi tragicamente con il suicidio della giovane, che si scoprirà appartenente ad una famiglia bene di Milano.
Antonio Pane è sicuramente un personaggio sui generis, fin troppo onesto, eccessivamente ottimista, tenacemente speranzoso, ed un pizzico ingenuo. Se nel film Giorni e nuvole, Albanese aveva magistralmente interpretato un manager di successo in piena decadenza economica, nel lungometraggio di Gianni Amelio ci consegna un uomo senza fragilità, così bonario da risultare poco credibile e un po’ noioso. È un ritratto che rimane in superficie, quello di Antonio Pane, conosciamo il suo presente, ma il suo passato? Da dove viene tanta bontà?
Il distacco tra il protagonista ed il mondo contemporaneo appare ancora più evidente nella distanza che corre tra il suo atteggiamento e quello delle nuove generazioni (rappresentate dal figlio e da Lucia). Tanto vi è perseveranza e tenacia nel primo quanto disillusione e frustrazione nelle nuove leve. Che Amelio abbia voluto comunicare un cambio generazionale di aspettative e desideri? Anche questo aspetto rimane poco indagato, mostrando solo le nevrosi e le sofferenze di una generazione che ha visto progressivamente diminuire l’orizzonte dei propri sogni.
Il cast si rivela di qualità: oltre al già collaudato Albanese, ottime sono infatti le qualità attoriali di Gabriele Rendina, nei panni del giovane musicista, e le interpretazioni femminili di Livia Rossi e Sandra Ceccarelli; mentre la regia e la sceneggiatura mostrano diverse crepe.
Laura Timpanaro
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Dom, Ott 6, 2013
Spettacolo