La Galatea: poema lirico con l’allegorie cristiane dell’Academico Veneto Sconosciuto
Il mito di Aci e Galatea in un prezioso poemetto del XVII secolo
La rivista “Agorà” d’apr.-dic. 2003, edita dall’omonima casa editrice di Catania, ha pubblicato un interessante articolo-saggio del medico-umanista d’Acireale Salvatore (Toti) Pennisi così intitolato: “Il fortunoso acquisto di un pregevole volumetto caduto nell’oblio / Il mito di Aci e Galatea in un raro poemetto del Seicento / L’anonimo Academico Veneto Sconosciuto, in un intreccio di poesia e prosa, fa rivivere il mito senza tempo della ninfa Galatea e del pastorello Aci impreziosendolo di un profondo significato religioso”. Da quest’enunciazione si capisce l’importanza dell’acquisto fatto in una libreria antiquaria della Toscana, dato che si tratta d’un’assoluta rarità bibliografica. Quest’articolo-saggio può anche essere letto integralmente nel sito http://www.editorialeagora.it/rw/articoli/30.pdf
Nel suo scritto il Pennisi afferma che in Italia esista una sola copia di questo libro nella biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna e che all’estero risulti soltanto una copia nel catalogo della British Library di Londra e un’altra in quello della Bibliothèque Nationale di Parigi. In realtà — della stessa o diversa edizione — altre copie si trovano: in Italia nella bibl. dell’università cattolica di Milano, nella Marciana di Venezia, nella Bertoliana di Vicenza, nell’Estense di Modena, nella Statale del Monumento Nazionale dei Girolamini di Napoli, nella Civica di Cosenza; all’estero nella bibl. dell’università di Oxford (una copia ritenuta del 162- ? e un’altra ritenuta del 1730 ?), nella bibl. del Metropolitan Museum of Art di New York e nelle biblioteche Berenson (settore musicale) e Houghtondell’università “Harvard” di Cambridge (Stati Uniti d’America). Ed è sperabile che a queste copie se ne possano aggiungere altre, reperite in altre biblioteche.
La copia di Napoli è stata recuperata dalle forze dell’ordine dopo essere stata sottratta — insieme con altre migliaia d’opere rare e preziose — da un neo-direttore della biblioteca stessa e da altri delinquenti, poi condannati a severe pene nel 2013. E per quanto riguarda la Francia quella indicata dal Pennisi in realtà si trova nella Bibl. Municipale d’Aix-en-Provence, dove in catalogo ne sono descritte tre: due in italiano e una in latino. Tuttavia, poiché la copia in latino ha la stessa collocazione d’una delle due in italiano, potrebbe esserci stato un errore nell’indicazione di due distinte copie al posto d’una: e quindi le copie potrebbero essere in tutto due anziché tre.
Le relative date di pubblicazione che figurano nei cataloghi sono: 162- ? (Oxford), 1625 ? (VI, BO, New York e Cambridge), 1628 (MI, VE e MO), 1691 (NA e CS), due copie sec. XVI e una copia sec. XVII (Aix-en Provence), 1730 ? (Londra e Oxford). Una copia con indicazione di data 1620 ?, messa all’asta dalla casa Christie’s a Parigi nel Dicembre 2012 e stimata € 4.000 – 6.000, era posseduta da Madame de Pompadour, favorita del re di Francia Luigi XV. E tutto ciò conferma la preziosità dell’opera.
Per fortuna nel 2009 e 2010 il testo è stato ristampato da Galatea/Kessinger e venduto anche tramite la rete telematica. Ne esiste una versione digitalizzata da Google, nella quale si nota qualche difetto di resa dovuto a cattiva inchiostrazione e alle ingiurie del tempo, mentre le pp. 159-162 erroneamente sono state inserite fra la 176 e la 177. Essa, realizzata su un testo d’Oxford, è interamente leggibile nel sitohttp://books.google.it/books?id=GnECAAAAQAAJ&printsec=frontcover&hl=it&source=gbs_ge_summary_r&cad=0#v=onepage&q&f=false
Il titolo dell’opera è La Galatea / Poema lirico con l’allegorie dell’Academico Veneto Sconosciuto. Ma oltre all’autore, nella prima edizione, che consta di pp. 216, non sono indicati né la stamperia e la sua località né l’anno di stampa. Francesco Saverio Quadrio (sec. XVII-XVIII), Gaetano Melzi (sec. XVIII-XIX) e Lodovico Piantanida (sec. XVII-XVIII) attribuiscono l’opera stessa a Girolamo Priuli, nobile e senatore veneziano: il Piantanida fissa la data al 1625, mentre un’altra edizione fu stampata a Cremona da Gioacinto Belpieri (sec. XVII) nel 1628. Ora, poiché i Priuli furono una famiglia patrizia veneziana, che aveva vari palazzi a Venezia e una sontuosa villa ad Orsago (TV), e che diede dei dogi alla Serenissima, uno dei quali di nome Girolamo Priuli (sec. XV-XVI), che è indicato come autore nei cataloghi delle suddette biblioteche di Milano ed Oxford e di cui si conserva un ritratto eseguito dal Tintoretto, se davvero fosse costui l’autore, l’opera sarebbe databile al Cinquecento, in conformità alla datazione indicata nel catalogo della bibl. di Aix-en-Provence; a meno che essa non sia stata pubblicata postuma. Tuttavia metafore, iperboli, diminutivi e vezzeggiativi, ridondanze e allitterazioni presenti in abbondanza nel testo ci fanno pensare al Seicento: e quindi l’autore dovrebbe essere un discendente omonimo vissuto a cavallo fra il sec. XVI e il XVII.
Lo sconosciuto autore riprende il mito dell’amore d’Aci e Galatea: il pastorello Aci s’innamora della nereide Galatea, di cui è innamorato pure il mostruoso ciclope Polifemo; il quale, vedendo i due amarsi, sommamente adirato scaglia contro di lui la cima d’un monte (faraglione); ma la ninfa trasforma Aci in fiume-dio. Questo “fiume beato” (p. 174), scomparso nell’eruzione etnea del 1169, ha dato nome alla vasta Terra d’Aci (CT), poi suddivisa in una serie di località i cui toponimi, magari agglutinati, cominciano con la parola Aci (Aquilia poi Reale (1), Belverde poi Valverde, Bonaccorsi, Castello, Catena, Platani, San Filippo, Sant’Antonio, Trezza (2), secondo l’auspicio della stessa Galatea: “Aci scritto, e descritto in cento guise /…/ Aci espresso, e impresso in mille modi” (p. 171).
Questo mito fu trattato da moltissimi poeti, musicisti e pittori, classici e moderni; però il libro dell’Academico Veneto Sconosciuto ha una sua originalità, perché sulla scorta di quanto avevano fatto numerosi scrittori cristiani medievali — i quali avevano inteso la civiltà classica greco-romana (compresa la letteratura) come prefigurazione e anticipazione della successiva civiltà cristiana — interpreta i vari passaggi del mito in chiave cristiana, sia pure con delle forzature.
Leggendo questo poema in versi liberi, che qualcuno suppone essere stato scritto per essere rappresentato (con o senza musica) in teatro, ci s’accorge che lo stile somiglia a quello dei poeti tipici del Seicento, marinisti e antimarinisti (ad es. si vedano la strofa con la pomposa presentazione della rosa alle pp. 16-17 e il verso “svenir la gioia, e impallidirsi il riso” a p. 95), anche se qui si notano meno enfasi e meno acrobazie, che pur ci sono, e in compenso c’è più sincerità, delicatezza di sentimenti e finezza espressiva, anche seguendo il barocco. Altre particolarità linguistiche sono: periodi prolissi; punteggiatura approssimativa; numerosi accenti e apostrofi o indebiti o mancanti; alterati come “sdegnosetta” (pp. 76 e 78), “Orsacchino” e “Buffonetto” (p. 129), “amorosetti” e “lascivetti” (p. 132), “deboletto” e “languidetta/o/e” (p. 145 e 153); la stella Venere detta “Bella Duce del dì” (p. 85), il verbo “si/mi diseterni” (p. 155).
L’ambiente è quello marino e rivierasco ai piedi dell’Etna, ma da buon poeta classicheggiante l’autore nel primo canto (“Invito del Cielo Innamorato à Galatea”) non può non fare un riferimento al mito della sicula Ibla (“Del’involate spoglie à gli horti d’Hibla”) e delle sue api (che “stillar sogliono poi / con ingegnose prove, / il nettare, e l’Ambrosia / per condire i Conviti / a le mense di Giove”), mito che per molti secoli ha attraversato tutta la cultura occidentale, classica greco-romana, medievale e moderna. (3)
La susseguente allegoria in prosa del suddetto primo canto riscatta la sdolcinatezza e la sensualità dei versi: l’autore si dimostra un moralista cristiano e per lui il Cielo è Dio innamorato di Galatea, il quale la invita a disprezzare le attrazioni terrene e a cercare quella gloria in cui risplende per l’eternità lo stesso Dio, “certa ricchezza di tutti gl’intelletti, e di tutti i desiderj humani”.
Simile svolgimento hanno tutti gli altri canti, intitolati come segue (fra parentesi la sintesi delle rispettive allegorie cristiane): “Segue il ragionamento del Cielo à Galatea” (l’anima s’affanna per le cose terrene, ma Dio fa di tutto per attirarla a sé), “Risposta di Galatea al Cielo” (l’anima si rifiuta di rispondere agl’inviti di Dio e finirà col passare dalla terra all’inferno), “Gelosie d’Aci” (nonostante le ripetute ripulse da parte degli uomini, il misericordioso Dio dà loro nuove possibilità di salvarsi), “Bellezze d’Aci” (la bellezza umana, a volte idolatrata, è insidiata dalle delizie mondane), “Scherzi amorosi d’Aci, e di Galatea” (l’anima sensuale si riduce a commettere peccati nascondendosi da qualche parte, ma Dio scopre tutto), “Amori d’Aci, e di Galatea” (le bellezze sono corruttibili e costituiscono inciampi alla salute dell’anima, mentre i piaceri, pur tanto apprezzati, sono lacci, follia e miseria), “Sdegno del Cielo” (di fronte al persistere della lascivia, Dio si trasforma da amico in giudice e prepara il castigo), “Polifemo destato dal Cielo” (Polifemo rappresenta la mano punitrice di Dio), “Furore, e canto di Polifemo” (l’anima ribelle, sorda e cieca viene da Dio indicata alla morte), “Aci percosso da Polifemo” (l’uomo cerca di schivare la morte, ma questa tanto lo insegue finché l’afferra), “Morte d’Aci” (l’anima si congeda dal corpo, in attesa di ritrovarlo nel giorno del Giudizio), “Aci tramutato in fiume da Galatea” (il corpo del defunto disonesto è trasformato in polvere, putredine e vermi, mentre quello dei santi si conserva per sempre), “Letitia universale nella mutatione d’Aci” (i diavoli fanno festa quando un’anima va all’inferno), “Ragionamento d’Aci Fiume à Galatea” (come il fantasma d’Aci, sorto dal fiume, fa intendere a Galatea d’essere diventato Dio, così Lucifero, già angelo di luce, sorto dall’Inferno con allettanti sembianze, fa intendere agli uomini d’essere diventato Dio, in modo da indurli a peccare e a dannarsi come lui).
Nell’ultimo canto (“Profetia di Protheo”) il dio-indovino Proteo profetizza la futura venuta d’Ulisse, che con un tizzone ardente accecherà Polifemo, castigandolo per la sua protervia, nonostante che Polifemo stesso poco prima rappresentasse la mano punitrice di Dio (contraddizione dell’autore, che ricorda in qualche modo la dantesca “vendetta… della vendetta del peccato antico” di Par. VI 92-93). E nella successiva allegoria l’autore chiosa che, mentre Proteo prefigura Profeti e Sibille, Ulisse è la prefigurazione di Cristo, “il quale doveva con il tizzone ardente dell’amorosa croce acciecar la morte”: morte che con la legge evangelica “non solo è divenuta domestica, ma pretiosa nel cospetto del Signore”.
A proposito di quest’allegoria finale, il Pennisi riferisce che Maria Teresa Acquaro Graziosi, studiando lo scrittore minore secentesco Juan Pérez de Montalván y Calderón, ha trovato che in una sua opera anch’egli aveva adattato questo mito al cattolicesimo, con Polifemo che simboleggia il diavolo, Galatea l’anima e Ulisse Cristo. Ebbene, secondo lo stesso Pennisi lo scrittore spagnolo potrebbe aver desunto questi paralleli da La Galatea dell’Academico Veneto Sconosciuto: ciò dimostrerebbe la diffusione di questa nostra opera in campo europeo. E questa è un’ipotesi plausibile.
I singoli canti sono illustrati da sedici incisioni di discreta fattura, mentre decorazioni varie sono disposte — oltre che in copertina — all’inizio e alla fine d’ogni canto e delle allegorie. L’incisore è anch’egli sconosciuto.
Carmelo Ciccia
(1) Acireale, che oggi conta oltre 50.000 abitanti, è il comune principale; e nel suo stemma risaltano le lettere A e G, iniziali d’Aci e Galatea, per sintetizzare il mito su cui si basa il toponimo.
(2) Aci Trezza è la località in cui si svolgono I Malavoglia di Giovanni Verga.
(3) Sulla diffusione del mito d’Ibla si possono leggere fra gli altri i seguenti saggi di C. Ciccia: Il mito d’Ibla nella letteratura e nell’arte, Pellegrini, Cosenza, 1998, pagg. 120; Il mito d’Ibla nella letteratura e nell’onomastica, “Atti della Dante Alighieri a Treviso”, vol. IV, Zoppelli, Treviso, 2001, pp. 158-166; Il leggendario miele ibleo, “Ricerche”, Catania, genn.-giu. 2009, pp. 35-72. In tali saggi è citato l’accostamento Galatea-Ibla presente in Virgilio e nel Foscolo, ma manca questo dell’Academico Veneto Sconosciuto perché ignorato all’epoca della stesura dei saggi stessi.
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Mar, Set 17, 2013
Cultura