“Libera Motta”, un progetto di idee e di sogni
«Per far tornare la nostra comunità a sognare un luogo diverso da quello che attualmente siamo»
A Motta Sant’Anastasia, di recente, su un’idea di Danilo Festa, un giovane impegnato e consigliere comunale del Pd, è partito un progetto politico sociale che mira ad un salto qualitativo della comunità locale. E’ nata così “Libera Motta”, un’Associazione volontaria di giovani che –coinvolgendo anche gli adulti – vuole svegliare il proprio paese dal sonno sociale, politico e culturale. Ho così pensato di darne notizia attraverso una “Lettera aperta” di Danilo cui ho risposto al fine di stimolare il dibattito e il confronto nella società civile mottese.
«Lei ha ragione in tutto; si è sbagliato soltanto quando ha detto: “i siciliani vorranno migliorare” […] i siciliani non vorranno mai migliorare per la semplice ragione che credono di essere perfetti; la loro vanità è più forte della loro miseria […]».
Dice così Don Fabrizio al cavaliere Chevalley ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. I siciliani non migliorano perché si credono perfetti. I siciliani rimangono fermi, impassibili, eterni. Commettono sempre gli stessi errori, perché anche quegli stessi errori sono perfetti. Perfetti nella loro mostruosità.
Da anni anche Motta, che è perfettamente siciliana, rimane immobile. Perfetta nella sua imperfezione. Perfetta nella sua sicilianità. Procede a rilento, stiracchiandosi con calma e lentezza regali. Commette con meticolosità gli stessi errori. Tutti, nessuno escluso.
Anche la politica di Motta è una politica perfetta, fatta dalle stesse persone, dagli stessi meccanismi, dai corsi e dai ricorsi. La politica di Motta è un meccanismo perfetto, sempre uguale a se stesso. E come tutte le cose perfette rimane ferma, piatta. Il movimento è solo movimento apparente di uomini che cambiano carica, cambiano posto, cambiano alleanza, cambiano etichetta, cambiano sigla, in qualche caso cambiano anche i connotati. Ma cambiano “gattopardescamente”, con il sorriso sotto i baffi. Cambiano solo per fare in modo che tutto cambi, solo affinché tutto possa restare com’è.
Così, credo, non si possa continuare. Bisogna reagire, programmare, progettare. Bisogna ritornare a sognare. Sognare cose a tempo zero e costo zero e cose a lungo termine e costose ma che costituiscano obiettivi per cui valga la pena impegnarsi. Non possiamo aspettare che il sogno collettivo, assente nella nostra comunità, parta dagli altri. Deve partire da ognuno di noi, giorno dopo giorno.
Per questo motivo ti scrivo questa lettera che insieme a te è inviata a tante altre personalità della società Mottese.
Mi aspetto che tu possa scrivere qualche pagina, un pensiero positivo, proponga soluzioni e cose da fare per far tornare la nostra comunità a sognare un luogo diverso da quello che attualmente siamo costretti a vivere.
Il tuo scritto, insieme a tutti gli altri, verrà raccolto in un piccolo volume distribuito gratuitamente in paese e pubblicato nel sito internet del progetto #liberamotta.
Le tue idee saranno lievito dei nostri sogni.
Regole, economia, turismo, cultura, pianificazione territoriale, sicurezza.
Danilo
Hai ragione Danilo a spiegare l’immobilismo mottese attraverso Tomasi di Lampedusa che individua quello isolano nel sonno caro ai siciliani in quella pagina bella, ma non condivisibile, del “Gattopardo”, dove l’aristocratico don Fabrizio spiega al funzionario piemontese le ragioni del non cambiamento in Sicilia. E questo prima di Tomasi l’avevano fatto bene De Roberto nei “Viceré” (fonte ideologica del “Gattopardo) e Verga in molta sua produzione veristica. Ma io, mi sottrarrei a questa irredimibilità dei siciliani: il siciliano sa anche svegliarsi: lo ha dimostrato la storia da Euno ai fatti del 1848, passando per i Vespri siciliani, e con altre vicende che stanno prima e dopo quest’arco storico. Certo è vero che poi tutto è ritornato al riadattamento e quindi al sonno sociale (purtroppo i “ricorsi” dell’immobilismo sono stati più lunghi e vincenti dei “corsi” del risveglio [rivoluzioni]). Lo spiega bene Natalino Sapegno in un saggio critico su ‘Verga e il verismo’ esaminando la novella “Libertà”: dopo la “rivolta” c’è il “ritornare in sé dei ribelli di un istante” che anziché costruire un proprio futuro dignitoso nella libertà materiale e morale riprendono invece “coscienza della propria condizione di schiavi”, per subire “il peso di un destino inesorabile”. Aveva infatti scritto Verga in “libertà”: “tutti… in paese erano tornati a fare quello che facevano prima: I ‘galantuomini’ non potevano lavorare le loro terre colle proprie mani, e la povera gente non poteva vivere senza i ‘galantuomini’”. Ma Verga era tutto sommato un “cappello” (Gino Raya), cioè un rappresentante dell’aristocrazia terriera; aveva sempre ragione Sapegno a rimproverargli (con i veristi) la condiscendenza nel “contemplare… la miseria materiale e morale in cui le plebi sembrano immerse senza speranza di salvezza in un prossimo futuro”.
Ma guai a perdere l’ottimismo e quindi la fiducia nel cambiamento e nel riscatto. Io la penso sui siciliani come Mazzini la pensava in universale: “Un popolo che ha memoria dorme il sonno del leone”. Ecco mi auguro che i siciliani dormano come il leone, che i mottesi dormano “il sonno del leone”!
E questo per far tornare la nostra comunità a sognare un luogo diverso da quello che attualmente siamo costretti a vivere”.
Ma non è solo il sonno però che ostacola il cambiamento è l’interesse particolare. Per ritornare a Verga, aveva ragione il mio Maestro Raya quando individuava il peggiore dei mali nella natura umana (E Machiavelli e Guicciardini avevano fatto scuola) nella natura umana), quando attraverso lo scrittore di Vizzini diceva che l’uomo lotta fino a quando il “tuo” non diventi “mio”, ma per spiegare con la sua critica fisiologica il detto siciliano “leviti tu ca mi ci mettu iù”. E allora, caro Danilo, bisogna stare molto attenti a questo e capire chi sono i compagni con cui condividere e fare la lotta!
Ho cercato, nei miei anni giovanili che andavano verso la maturità, di fare come te, ma non sono riuscito a realizzare i miei progetti: troppi lacci… troppi ostacoli di amici e nemici…
Spero, quindi, che tu riesca nel tuo PROGETTO: i tempi e i fatti di Motta sembrano sorriderti.
In quanto a me, posso affidarti la mia esperienza… le mie idee… la mia forza di ieri e di oggi! Te le consegno se possono servirti per cambiare il destino di quelli che verranno. E questo, come soggetto sociale, come amico… quasi come un padre ad un figlio!
Pino Pesce
Tags: alba, danilo festa, l'alba, l'alba periodico, liberamotta, motta sant'anastasia, pino pesce
Sab, Ago 10, 2013
Cultura&Società