“La tomba del guerriero” di Petricich alla Casa circondariale di Bollate
L’attore novarese calca il palcoscenico per i detenuti con uno spettacolo emozionante e passionale
Si apre con una citazione shakespeariana, pochi passi tratti dalla vicenda del Moro di Venezia poi l’Inferno di Dante: il racconto di Ulisse e quello di Paolo e Francesca, fanno da prologo al dramma di Henrik Ibsen La tomba del guerriero, nella pièce di John Alexander Petricich al teatro della Casa circondariale di Bollate.
In platea un pubblico particolare: i detenuti del carcere di Bollate. Per loro l’attore novarese ha concepito uno spettacolo denso di emozioni, coniugando la passione per i classici alla recitazione sanguigna che gli è familiare. Una lectura dantis tesa e vibrante, capace di cogliere il senso di avventura del ventiseiesimo canto e l’ardore del quinto, modulando la voce e il pathos alle esigenze narrative. Un esercizio sicuramente non nuovo a Petricich che nel 2008 si cimentò con una maratona dantesca di ben dodici ore. Sebbene in questo caso siano stati pochi i minuti dedicati alla Divina Commedia, le suggestioni dantesche sono state ben concentrate. Quando arriva il momento di Ibsen, il pubblico è già avvolto nell’atmosfera della poesia, pronto per accogliere i versi del drammaturgo norvegese. Nella vicenda di un faccia faccia tra un padre e un figlio, un guerriero ormai passato a miglior vita ed il figlio, che ne reclama la vendetta, Petricich coglie lo scontro generazionale. Come afferma l’attore nelle note di regia: «Non sappiamo cosa attende i giovani: ma i padri si sono sacrificati, e loro – i figli –‐ sono liberi, del tutto, di celebrare il loro futuro e di autodeterminarlo.
Questa è la storia di un padre che ritrova suo figlio, non sapendo di averlo incontrato proprio mentre egli, il figlio, era alla ricerca dell’assassinio del padre. Nella tomba che si scopre sulla spiaggia, dopo i fiordi, suo padre, in realtà, ha seppellito le armi dell’epoca in cui era guerriero: l’altro se stesso appartenente al passato. Il ritrovarsi, faccia a faccia, apre ad una nuova prospettiva, e chiude la vicenda nel significato di nuovi valori da sostituire al passato.
E’ già alle porte l’affermazione di una nuova civiltà, che sta per avvincere anche il Nord così duro e remoto».
Dopo la personale interpretazione di Ibsen, Petrich si è congedato dal suo pubblico citando Carmelo Bene e le sue riflessioni sul linguaggio.
Laura Timpanaro
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Mer, Giu 19, 2013
Spettacolo