RAYA, UOMO DEL RINASCIMENTO E NARRATORE
1.Uomo del Rinascimento. Gino Raya era uomo di spirito, pronto alla battuta fulminante come sintesi di un percorso valutativo di piena serietà con obiettivo gli altri o se stesso. Un giorno mi stupì qualificando la sua carriera come una sorta di retromarcia, cioè l’opposto dello svolgimento comune: inizi di pieno consenso e fiducia nel suo lavoro di critico e storico della produzione letteraria, quindi con editori disponibili di alto livello; poi, svolgimento in discesa, cioè editori sempre meno illustri e potenti. In termini nominativi, dal grande Vallardi al più modesto Ciranna, transitando per “Ceschina”, “Dante Alighieri”, “Pan editrice”. La sua Storia della letteratura italiana, per esempio, nacque con la milanese “Dante Alighieri”, e nelle successive edizioni transitò per la milanese “Marzorati”, poi approdò alla modesta e romana “Editrice Ciranna”. Il senso di questa nostra perlustrazione? Eccolo qua, caldo di temperatura polemica verso i signori critici di poco fiuto: man mano che il rigore analitico dell’autore cresceva nel senso del suo nuovo criterio biologico-culturale, con una reductiodecisa dell’arte a danza e l’intima necessità di un’applicazione universale del correlato metodo, veniva restringendosi ulteriormente il consenso del microcosmo filosofico e letterario. Se c’è un caso, in quel microcosmo, di marcia a ritroso nel giudizio critico in parallelo al crescere di una originale, intensa attività esplorativa sempre più varia, è questo del Raya. Cioè, di un campione primatista dell’accennata maturazione e coerenza, che si amplia e radicalizza sino a trasformare la rivista trimestrale Narrativa nella parimenti trimestrale Biologia culturale, inaugurare una collana editoriale di studi dedicata non alle classiche muse e loro pertinenze olimpiche, ma al più modesto uomo che mai abbia conosciuto il salotto delle divine signore: “Homo Homini”, dunque, con questo homo tutto animale, solo dotato di un cerebro più grosso e più circonvoluto rispetto a quello di qualsiasi altro bipede o quadrupede del comune lessico. La discesa ospiterà le opere rayane della rivoluzione famista, e cioè, in progressione cronologica: La fame, filosofia senza maiuscole; Che cosa è la donna; L’amore come antropofagia; L’arte come danza; Critica fisiologica, applicata, questa, a un vasto settore produttivo esteso dalla narrativa alla sociologia e all’antropologia culturale (ospitando nella sua rivista parecchi saggi del sottoscritto dedicati a quest’ultima, affascinante disciplina, così sensibile, in certe sue espressioni e relativi autori, alla radice eradicabilità biologica dei fenomeni culturali).
2. Il narratore. La narrativa rayana è di quelle che non producono stanchezza neanche a ripeterne la lettura a distanze non lunghe tra l’una e l’altra. Diciamo meglio: il primitivo piacere si rinnova quasi intatto, anzi a volte migliorato, cioè arricchito da nuove sensazioni ed emozioni. La tentazione di citarne qualche passo è forte, a questo punto, e chi scrive qui èdebole: non la vince. E allora cominciamo l’esame dei vari volti del Raya poliedrico proprio dal narratore; e con un passo di una delle Storie più divertenti, intitolata Falisetta, che può ritenersi paradigmatica del suo brio stilistico: «Gran parlare, vasti piani politici, fra i dignitari di Buda, all’arrivo dell’ambasceria imperiale. I più giurano che re Pipino mediti una spedizione in Terrasanta e chieda l’appoggio dell’Ungheria. Il re Filippo non si sbottona, ma la soddisfazione gli si legge in faccia. La regina, invece, borbotta: — Come può pensare ancora a guerre, quel rimbecillito dell’imperatore? E dire che non ha ancora uno straccio di moglie! — Sarà questo accenno della regina, sarà che le ragazze – a furia di pensar sempre a una cosa – qualche volta ne imbroccano una meglio dei politici, fatto è che la principessa Berta e le sue damigelle sono perfettamente informate dello scopo dell’ambasciata: i baroni Gherardo da Fratta, Bernardo di Chiaramonte, Morando di Riviera e Raimondo di Treves cercano una moglie per Pipino. Pipino è vecchio, si sa, ma sta a Parigi in un castello che giunge al cielo, vince tutte le guerre, è il re più potente del mondo: le damigelle motteggiano, ma con un tremito d’ammirazione; parlano d’altro, e d’un tratto tacciono, oppresse dalle fantasie più strane. // La caccia in onore degli ambasciatori francesi riesce deliziosa. Alla fine del banchetto nella foresta scoppia la bomba: re Pipino sposerà Berta la figlia di re Filippo, Berta dal grande piede. I dignitari, che sognavano guerre ricchezze forniture tradimenti colpi di stato, nascondono il loro disappunto in rallegramenti e frecciatine: “Era tempo che Pipino pensasse all’erede (a settant’anni ci vuole un bel fegato)!”»
Chissà se in quel tempo lontano esisteva il proverbio “da cosa nasce cosa”! Certo è che nel racconto la sua verifica fattuale non fa una grinza e sfolgora, anzi, nel più sensuale sviluppo: l’autore non soffre di scrupolosi bacchettona e dà fiato alle trombe del santo sesso, che, però, strada facendo dall’una fanciulla all’altra ha perso l’aggettivo: non è facile far entrare le imprese di letto nella categoria di cui sopra, ma quando c’è la…buona volontà, si può quasi tutto. Scherzi a parte qui si tratta di un’impresa difficile per l’autore e facile per chi sta tentando di onorarne la memoria, da fedele amico, e discepolo di altezza non comparabile con la sua. Ma torniamo alla storia in corso.
L’affare più importante, per Falisetta-regina, è Spinardo di Maganza: Sempre spiritoso ed impomatato, Spinardo ha indotto Falisetta ad ascoltare una romanza tutta per lei sola, dalla romanza è passato alla passeggiata notturna nel giardino in una notte senza luna, dalla passeggiata ha ottenuto un appuntamento segreto nella stanza riservata in una notte con la luna. Il colloquio, più tardi, è diventato abbraccio. E certi abbracci, si sa, fanno a meno volentieri delle scarpe ortopediche. Spinardo s’è mangiata la foglia, e Falisetta ha dovuto raccontargli come sono andate le cose.
E a questo punto la seconda cosa che nasce dalla prima è un complottino coi fiocchi per sostituire la vera regina con la falsa. La quale, poverina, non vorrebbe far del male a Berta, le vuol così tanto bene! D’altra parte, come spegnere il sogno di diventare regina? Pensa l’amante a combinare le cose in modo da allontanare Berta dal trono senza farle del male. Impresa disperata, grazie alla sagacia reattiva della madamigella dal grande piede, che rapita dai sicari, se li gioca rivelando la sua vera identità e convincendoli di un grave malinteso: dovevano catturare ed eliminare una ragazza manovrata da malfattori per far da regina e avevano messo le volgari manacce sulla vera regina, che li terrorizza col suo sdegno recitato con minacce di morte: «Su dunque, uccidetemi, canaglia dissennata! Figli di cane, non vi accorgete che avete sbagliato nell’eseguire gli ordini? Dovevate afferrare una damigella che disonora la Reggia, e avete preso me che sono (qui una pausa e poi con voce terribile) la Regina! […] Berta fa un passo avanti e i tre rinculano istintivamente. Ad essi, effettivamente, i maganzesi avevano detto che si trattava d’una damigella da castigare, per ordine degli stessi Reali, e con un buon compenso per giunta. […] Bufali puzzolenti, non sapete che la vostra regina è Berta dal grande piede? E mostra il piedone, Berta, capovolgendo a suo vantaggio la situazione drammatica.» L’assaggio di cui sopra mostra all’evidenza le qualità del Raya scrittore facondo, realista, limpido, ma soprattutto sempre arguto, mai enfatico, tagliente se e quando occorre.
In sede teoretica Raya ha definito la critica come esercizio di sadismo (“la critica è sadismo”: testuale), e taluno può aver pensato che, essendo lui, come critico, afflitto da quella tendenza, il teoreta non ha fatto altro che proiettare il suo brutto carattere in quella definizione. L’accusa avrebbe la consistenza di un fastidio interessato, per il solo fatto che l’autore applica anche alla sua produzione quel rigore. Né qui si pretende contestare questa sorta di sentenza draconiana! Semmai aggiungere un codicillo alla compiutezza dell’assunto. Ricondurre la critica al sadismo non vuole essere uno stop drastico all’elogio, ma la sua purificazione: l’elogio può essere legittimo solo quando segue ad una sana critica, cioè questa che stiamo evocando: severa erga omnes.
Esiste una nuova e più ricca edizione delle Storie (Edizioni Spes Milazzo) nata nel cuore delle onoranze offerte al Raya e organizzate dall’onesto amico professore Giuseppe Pellegrino, animatore di un’impresa benemerita, anche se ignorata dalla solita accademia faziosa. In questa edizione maggiore (anche di formato editoriale), sono raccolte, oltre a quelle della prima in volume, le novelle posteriori, ospitate dalla rivista “di bottega”, ossia da, Narrativa prima, e poi dall’erede Biologia culturale; ma anche da qualche altro periodico disponibile. Ecco alcune righe della lucida e coerente Introduzione: «Anche nei suoi scritti di critica e di filosofia, Gino Raya è scrittore: limpido, arguto, tagliente. All’inverso, il Raya narratore non fa che danzare i motivi più profondi del suo pensiero, e soprattutto della sua polemica contro le maiuscole, cioè contro tutte le astrazioni metafisiche».
Pasquale Licciardello
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Mar, Apr 16, 2013
Cultura