Il “d’Annunzio” di Edoardo Sylos Labini e Francesco Sala al “Musco” di Catania
Lun, Mar 11, 2013
Gli “amori e le battaglie” del poeta/guerriero nella sperimentazione del “Disco Teatro”
Fra un saltino di giorni, 12 marzo, sarà il 150° della nascita di Gabriele D’annunzio, improprio “Vate”! Non ha infatti le giuste virtù del poeta/profeta di ispirazione morale o civile, quindi sacrale, «nocivo» al «vil muscolo» o capace di placare le «afflitte anime col canto» o diprofetare «Sublimi età» perché «in pravi Secoli nato» parafrasando Carducci, Foscolo e Alfieri, certamente più con le carte in regola di lui nel voler riedificare la patria. D’Annunzio è soltanto un poeta di posa, eccellente però; un fine verseggiatore dall’insuperabile musicalità delle parole, capaci (l’ho già scritto, l’Alba, settembre/ottobre 2011) di suscitare «atmosfere suggestive, in versi e in prosa, che aprono segreti e misteriosi orizzonti di dimensioni ineffabili»; vorrei così anche ripetere che non si possono condividere i suoi «falerati corsieri» e «deità operose», che non si possono lodare «la sua libertà sensuale e il suo slancio superomistico in gloria della guerra e di un’arte feticista» al servizio di una ingloriosa, tanto più smisurata, “quadriga”: la “Volontà”, la “Voluttà”, l’“Orgoglio” e l’“Istinto”.
Su questa mia premessa, gran rispetto, poi, a tutte le celebrazioni che verranno; gran rispetto, quindi, e soprattutto grande ammirazione, già è il caso di dire, per un eccellente spettacolo teatrale che ho avuto modo di seguire, qualche settimana fa, al Teatro “Angelo Musco” di Catania per lo “Stabile” etneo; mi riferisco a Gabriele d’Annunzio/ tra amori e battaglie, liberamente tratto da L’amante guerriero di Giordano Bruno Guerri con la regia di Francesco Sala.
Lo spettacolo con apripista a Chieti il 9 febbraio; poi a Catania, a Roma e a Torino fino al 3 marzo, per poi approdare a Milano e a Trieste, è senz’altro da vedere. Si tratta di un nuovo modo di fare teatro; a buon merito “sperimentale”.
Non mi ha mai entusiasmato la rappresentazione sperimentale; perché mi è sempre capitato di leggere di lavori scriteriatamente infedeli alla tradizione teatrale o di vedere impietose violenze alla fonte originale. Questo d’Annunzio è invece un piacevole e perdonabile adulterio di tre straordinarie intelligenze: quella del citato regista, dell’attore protagonista Edoardo Sylos Labini, elaboratore, con Sala, de L’amante guerriero, e del dj Antonello Aprea, sperimentatore del “Disco Teatro” assieme a Labini.
Lo spettacolo viene avviato da Edoardo/Gabriele, su piattaforma fuori proscenio a tende chiuse, che si annuncia con un «Guai agli umili», proprio a voler caratterizzare l’indole audace e superomistica di chi «della propria vita» voleva fare «un’opera d’arte».
Fin qui nessun stupore; anzi l’idea di assistere ad uno dei soliti tramezzini sulla vita di un prestigioso personaggio, magari recitati, come in questo caso, da un bravo attore. Ad apertura di sipario però si capisce subito che qualcosa di diverso e di qualità sta per accadere in quella scenografia suggestiva che addensa l’atmosfera fastosa del “Vittoriale degli Italiani” e presenta una grande cornice in stile d’epoca con dentro consolle e dj dalle sembianze dannunziane; pseudo controfigura, o chissà! alter ego, sottomaschera, del primo attore/personaggio che calca la scena. Di questi infatti, il disc jockey sarà l’antagonista o la spalla in raccordi recitativi; per cui, Aprea, sarà qualcos’altro o qualcun altro… ma sarà innanzitutto il conduttore dello spettacolo sonoro che rielabora in suggestivi suoni elettronici, in particolare, la musica wagneriana molto amata dal Pescarese; quindi – come appunta Sala – «suono violento, come rullo di tamburo, non mezzo a servizio del testo ma superamento del testo stesso. Teatro come arte magica e manifestazione di Poesia».
Fra tende e drappi damascati in fili d’oro, fra arredi e oggetti, tutto in rinfuso ordine vittoriale, entrano in scena d’Annunzio e la fedele domestica-amante Amélie Mazoyer (Giorgia Sinicorni). La coppia dà subito l’idea della qualità attoriale e del coinvolgente intreccio. Labini, dentro il classico abito bianco sporco del poeta abruzzese, ne ha ben studiato la posizione del corpo, le movenze, le parole musicali ad effetto. La Sinicorni, ben si atteggia a governante altolocata, sicura di sé, dominatrice e viziosamente ammaliante. Amélie sà tutto del poeta e se lo gioca quando e come vuole, ma subendo spesso le smodatezze dell’amante/padrone libertino.
Quindi lo snocciolarsi dell’esotica storia biografica: amori clamorosi, passioni focose, mondanità politica e sociale, provocazioni irruenti fino alla sfida, scandali ed eroismo bellico.
In questo sviluppo, appaiono, via via, come geni di lampada, altre tre donne importanti della vita del d’Annunzio: Maria Hardouin (Alice Viglioglia), la moglie duchessina caduta giovanissima (sono gli anni romani del Piacere) nella rete dello sciupafemmine non potendone prevedere l’infedeltà e le umiliazioni tanto da essere sfidato, il vanesio marito, dal suocero (il multiforme Aprea) in duello. Bella scena, quest’ultima, di effetti acustici (sarà infatti solo Labini a dare di fioretto) che attutisce la glacialità recitativa dell’”in Gambissima” di miss Italia 2012; Eleonora Duse (Viola Pornaro), l’attrice, allora in auge, che favorisce l’autopromozione dell’Abruzzese ma che viene umiliata nel Fuoco; Luisa Baccara (Silvia Siravo), la giovanissima amante pianista che suona soltanto per l’amato vivendo, in clausura al Vittoriale, una vita dissoluta fra droghe e adescamenti di fanciulle per soddisfare le lussuriose voglie del suo galante maschio. Sicura e professionale la recita della Pornaro e della Siravo che eccelle, in particolare, nelle scene di gelosia.
Attorno alla centralità degli amori del principe di Montenevoso, che faceva «favoleggiar altrui», girano la sua poetica e altre note vicende della sua vita: gli avventurosi voli aeronautici, le cavalcate, la vita fastosa alla villa “La Capponcina” che gli comporterà il volontario esilio in Francia per sottrarsi all’ira dei creditori, le leggendarie imprese di guerra che gli costeranno la perdita dell’occhio destro, la marcia su Fiume per riscattare la vittoria mutilata, il “D’Annunzio segreto” ma anche pioniere nel campo del gossip e del marketing che farà nascere La Rinascente.
In questo fastello, dove Sylos tocca spesso il vertice recitativo, si innesta, e non poteva mancare per popolarità (e ad esaltazione del nuovo linguaggio elettronico) La pioggia nel pineto, il massimo, nell’Alcyone, della musica nascosta della natura e dell’ebrezza panica che il Dj esprime elettronicamente attraverso le aree di Wagner e Debussy.
Ma forse più suggestivo il momento recitativo del Notturno, «fucina di sogni che la volontà non poteva né condurre né rompere», con l’atmosfera notturna e la video proiezione di un grande occhio: impossibile da spiegare perché solo da vedere. Insomma un D’Annunzio ben prodotto e raccontato per quel che il teatro ha potuto produrre e raccontare, perché la chiave vera per poterlo interpretare, la offre il regista attraverso il poeta stesso: «Qualche volta odo scorrere la vita, nel silenzio. Chi mai potrà indovinare oggi quello che di me ho voluto nascondere?»
Pino Pesce
09/03/2013
Tags: alba, Edoardo Sylos Labini, Francesco Sala, Gabriele d’Annunzio, Giordano Bruno Guerri, l'alba, l'alba periodico, L’amante guerriero, pino pesce, tra amori e battaglie
Mi è stato sempre antipatico D’Annunzio, cosi come tutti i personaggi che a scuola mi imponevano e nn mfacevano amare. Lo ripresi per fatti miei e l’antipatia aumentò. Spesso mi chiedevo come io figlio di un barista dovevo leggere le codardie di questo edonistico personaggio che stranamente veniva apprezzato nonostante la sua vicinanza a duce anche da intelletuali sinistrorsi. La folgorazione avvenne molto più tardi. Uno di quei giorni che fai due passi a piedi nella tua città, per me Catania. Comprai Diabolik, entrai al giardino Bellini, per tutti “villa” e mi sedetti, assaporando Diabolik. Una associazione libera dettatata dall’imperversare uggioso del clima, mi portò ad associare un classico: “la pioggia nel pineto”. Pioggerellina, come pipì di una pornodiva, vista anni orsono in un film. Tutto è panismo. Io con diabolik. I maniaci con la pornodiva. D’Annunzio con l’a natura. Ecco che improvvisamente questo D’Annunzio, proprio il più comune, entra nelle viscere e scava il mio interesse. Oggi non temerei un D’Annunzio portato in scena con delle varianti innovative (?), ma già D’Annunzio lo fu di su innovativo e continua ad esserlo. Vorrò goderne di protesta o di applausi a questo spettacolo, mirando ad un panismo tecnosociale.
Non ho assistito allo spettacolo ma la descrizione dei dettagli del prof Pesce è, come sempre, esaustiva. Complimenti per il bel lavoro, io continuo la lettura del recente lavoro di G. Bruno Guerri “La mia vita carnale” per restare ancora in atmosfere dannunziane. Bruno Guerri scrive:.