Dino Distefano conquista il “Roger Needham Award”
Dom, Feb 24, 2013
Chiacchierata con il giovane ricercatore-scienziato di Biancavilla
La matematica è una ostentazione di audacia della pura ratio; uno dei pochi lussi oggi ancora possibili. Anche i filologi si dedicano spesso ad attività nelle quali essi per primi non intravedono il minimo utile, e i collezionisti di francobolli e di cravatte ancora peggio. Ma questi sono passatempi inoffensivi, ben lontani dalle cose serie della vita. La matematica, invece, proprio in esse abbraccia alcune delle avventure più appassionanti ed incisive dell’esistenza umana. (Robert Musil)
Circa due millenni e mezzo fa, si racconta che il ‘chimerico’ Pitagora di Samo si trovò a fare (di fronte alla bottega di un fabbro ferraio crotoniate che, semplicemente, batteva il suo martello sulle incudini) la scoperta costitutiva che diede avvio alla grande avventura della “scienza”. Si dimostrò che anche la musica, moto “spontaneo” dell’anima, dominio incontrastato dell’humanitas, era in sostanza governata dal ritmo di rapporti numerici che, opportunamente amalgamati fra loro, creavano “magicamente” armonia. Prima che Varrone Reatino ‘scompaginasse’ ogni cosa con le sue Disciplinae, enciclopedia di fondamentale importanza per la storia della cultura occidentale, nella quale si comprendevano nei primi tre libri quello che diverrà il Trivio delle arti liberali nelle scuole medievali (Grammatica, Dialettica e Retorica); mentre nei successivi quattro si trattavano Geometria, Aritmetica, Astronomia e Musica: il futuro Quadrivio. Questa bipartizione contribuì in buona parte ad acclimatare presso i posteri l’idea dell’estraneità delle cosiddette “scienze perfette” al mondo reale, imperfetto che traspare dalla vita quotidiana. La più straordinaria scoperta di Pitagora veniva in buona parte smarrita.
Sarà stata probabilmente questa l’intuizione che Dino Distefano, originario di Biancavilla, avrà avuto, mentre, ancora bambino, osservava il padre dipingere: la scoperta del saggio di Samo che aveva dimostrato come il mondo oggettivo della natura all’infuori di noi e quello soggettivo che proviene da dentro di noi, fossero messi in comunicazione da un ponte – la matematica, appunto – cominciava a prendere forma nella sua mente. E fu così che cominciò a sostituire ai pastelli usati dal padre i numeri: intuizione azzardata per qualcuno, ma portata avanti con ferma determinazione fino ad oggi in cui, ad appena trentanove anni, ha ricevuto dalla comunità scientifica internazionale il “Roger Needham Award”, per prestigio ed importanza definito il “Nobel dell’informatica”.
Il sogno non tanto nascosto di essere un ricercatore finalmente è diventato una solida realtà a conferma che la verità ed il tempo camminano sempre insieme.
Di seguito l’intervista che mi ha gentilmente concesso.
Dai quotidiani e televisioni nazionali siamo venuti a conoscenza della tua scoperta: il software Infer. Ci racconti in breve l’iter che ti ha portato alla sua ideazione?
«Infer è il risultato di 8 anni di ricerca nel campo dell’analisi e verifica del software. Quando ho cominciato insieme al mio team, volevamo trovare un modo automatico per identificare quegli errori critici presenti nel software, che altri sistemi di verifica non erano in grado di trovare. Siamo partiti da una logica matematica espressamente realizzata a questo fine. A fine 2005, avevamo il primo prototipo che riusciva a verificare semplici programmi. Poi, nel 2007, siamo riusciti ed estendere la nostra tecnologia per analizzare programmi molto più complessi che arrivavano fino a 10, 000 linee di codice. E nel 2009, abbiamo trovato un sistema rivoluzionario per fare scalare la nostra tecnologia a grossi software (con milioni di linee di codice). Questo era impensabile fino a qualche anno prima. Abbiamo sorpreso la comunità scientifica internazionale che lavora in questo campo.»
Perché questo nome? Che cosa cambierà nella Memoria delle macchine, quali vantaggi si otterranno nella loro velocità esecutiva?
«Il termine to infer in inglese significa inferire. In logica inferire indica il procedimento di arrivare a delle conclusioni seguendo delle regole logiche partendo da degli assiomi. Infatti questo è quello che fa Infer, quando analizza un programma fa milioni di inferenze logiche. Nel futuro, grazie ad Infer, avremo software più’ sicuri e affidabili. Inoltre si potrebbero adattare delle tecniche usate da Infer per accelerare i programmi. Stiamo studiando queste possibilità con un gruppo di ricerca parigino.»
Incrementerà l’automazione? Quanto influirà sui processi di automatizzazione dei sistemi industriali?
«Si perché adesso parte del testing può essere fatto automaticamente. Questo risparmierà molto lavoro.»
Di quanto i calcoli saranno più veloci rispetto al tempo di esecuzione attuale, nonostante la complessità del linguaggio, l’espressività del dominio astratto?
«Come ho detto sopra, rispetto all’accelerazione stiamo cominciando a guardare in questa direzione.
Per il momento, ci siamo dedicati all’affidabilità e sicurezza.»
Nelle prossime produzioni la tua scoperta influirà sulla introdurre di principi di fisica quantistica nelle nuove generazioni di computer?
«Non saprei, difficile dirlo. Sarebbe interessante guardare a questo tipo di possibilità.
In tutti i libri di fisica, raccontano la storia di Newton e della mela che, cadendo da un albero, gli avrebbe “ispirato” la legge di gravitazione universale. Nel tuo caso, qual è stata la “miccia” per la creazione di Infer?
Nel caso di Infer non c’è stato un episodio isolato. Ma si è trattato di una serie di idee che venivano in risposta a dei problemi concreti che bisognava risolvere per arrivare a questa nuova tecnologia.»
Secondo un sondaggio, gli insegnanti italiani sono i più vecchi di’Europa. Molti tuoi coetanei, insegnanti precari, stanno lottando “con le unghie e con i denti” per non essere letteralmente buttati fuori dalla scuola. A tuo parere, l’Italia è un paese di vecchi e per vecchi?
«Purtroppo mi sembra che la tendenza sia quella. Non mi sembra che l’Italia sia fatta per giovani lavoratori.»
Italiano, classe 1973, già professore ordinario alla Queen Mary University di Londra. Sei stato da più parti definito “genio dell’informatica”. Ti ci rivedi davvero in questa definizione?
«Non proprio. Penso che “genio” sia un termine molto soggettivo a cui diamo delle interpretazioni diverse. Ognuno ha la propria idea della soglia oltre cui una persona si può definire genio.»
C’è qualcosa a cui senti di avere rinunciato per seguire la tua carriera?
«No, ho sempre cercato di fare tutto quello che volevo fare.»
In una intervista, Rita Levi Montalcini dichiarò essere stata una fortuna avere ricevuto il Premio Nobel in età avanzata proprio perché ciò le aveva consentito di svolgere le sue ricerche senza l’”aura del successo”, diciamo così. Che cosa pensi a riguardo tu che, a 39 anni, ti ritrovi in tasca il “Nobel dell’informatica”? Non temi che questo possa in qualche modo farti cristallizzare in una forma fissa?
«Negli ultimi due anni sono stato in giro per il mondo a presentare i risultati delle mie ricerche. Chiaramente, questi impegni mi hanno impedito di fare ricerca a tempo pieno come facevo prima. Ma certi periodi sono così, nel campo accademico si sa. Bisogna riuscire a trovare il giusto equilibrio. Sicuramente non è facile. In questo momento sento il bisogno di tornare alla “drawing board”.»
A quale genio presente o passato, appartenente o meno al mondo dell’informatica, ti senti più vicino e perché?
«Se ne potessi scegliere uno, mi piacerebbe Kurt Godel, uno dei più grandi logici matematici del ventesimo secolo. I suoi lavori sono molto profondi e mi hanno ispirato tanto nel passato. Ma chiaramente quello che ha fatto Godel è irraggiungibile.»
Mark Zuckemberg o Aaron Schwarz, anche loro geni informatici. Fra i due chi preferisci e perché?
«Aaron Schwarz lo sento più vicino come idee.»
Dopo decenni di ricerche negli Stati Uniti, la Levi Montalcini ebbe il coraggio di tornare in Italia per dare il suo personale imput alla ricerca medica. Se ci fossero le condizioni adatte, torneresti in Italia?
«Se ci fossero le condizioni giuste sicuramente lo considererei.»
Sono convinta che la verità ed il tempo camminino sempre insieme. La tua vicenda lo conferma. Respinto a Pisa, hai ottenuto un importante riconoscimento, dopo anni di duro lavoro. Dopo che ti è stata comunicata l’assegnazione di questo prestigioso premio, quali sono stati i tuoi primi pensieri?
«Un’emozione incredibile, difficile da descrivere. Ho subito pensato che questa era la conferma che non bisogna mai mollare. Il lavoro di ricerca ha sempre alti e bassi. La cosa più difficile è sopravvivere ai periodi in cui le cose sembrano non andare per il meglio.».
Maria Grazia Monteleone
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Il dialogo tra un umanista e uno scienziato, pieno il dominio delle logiche simboliche, dell’immenso valore assunto dal pensiero matematico, è il sintomo dell’intimo bisogno del correlarsi della cultura, della sete di luce sul sapere, sul suo espandersi inarrestabile ad albero, viva, piena, nella coscienza, la comprensione dei concetti posseduti, legata all’intensa ricerca delle verità non sfaldabili.