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“Antologia della memoria per Gerardo Sangiorgio”

Gio, Gen 24, 2013

Cultura

Una “summa” di 29 perle per ricordare la nobile figura del professore biancavillese

Le parole poetiche di Gerardo Sangiorgio mi hanno ributtato addosso i giorni della mia prigionia in Germania. E non lo dico con tristezza perché nonostante la cattiveria di quel tempo, ho capito com’era bello essere giovani.  (T. Guerra).

Sono gli occhi di un ragazzo dallo sguardo penetrante che ti sorride, fiero della divisa che indossa il primo giorno di servizio militare, il primo impatto per il lettore che si appresti a leggere l’agile volumetto Antologia della memoria per Gerardo Sangiorgio.  Una summa di 29 perle, che intellettuali di chiara fama internazionale hanno voluto regalare alla città di Biancavilla, per ricordare la figura del professore, scomparso all’età di 71 anni nel 1992. Nato da un’idea del figlio di Sangiorgio, Dino, il volume ha preso corpo nel corso del tempo e si è arricchito pian piano delle riflessioni di numerosi uomini di cultura (da Tabucchi a Cacciari, Guerra, Belpoliti et cetera)

Classe 1921, Gerardo Sangiorgio è stato un giovane che, nel floruit della vita, ha preso parte a viso scoperto alla guerra di resistenza che tutta l’Italia, dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943, conduceva all’ex-alleato tedesco.

La Repubblica fantoccio di Salò chiamava alle armi, in un estremo quanto vano tentativo di sopravvivenza, dei ragazzi che avrebbero dovuto, col loro sangue, rallentare l’agonia del Duce. Il re, la sua corte, il governo erano “emigrati” a Brindisi, l’Italia era stata abbandonata all’abbraccio mortale dei tedeschi; abbraccio che avrebbe stritolato gli ex-alleati traditori, rei di avere cessato di combattere al loro fianco.

Indossando la divisa della sua patria, Sangiorgio ha saputo dire no, nel momento in cui ha ritenuto che i valori che rendono tale un uomo, erano stati completamente traditi. E allora ha deciso liberamente di seguire la sua coscienza, di uomo, di cristiano, di umanista. Non immaginava certo il prezzo che quella scelta avrebbe comportato: due anni di lavoro disumano, due anni di lavoro annichilente avranno, anni dopo, fatto suonare amaramente ironico il motto che campeggia all’ingresso del campo simbolo di questa tragedia: Il lavoro rende liberi.

E la libertà giunse, almeno per lui. Comincia una “nuova” stagione: tornato a casa e laureatosi in Lettere classiche, inizia il suo lavoro nelle scuole. Ma le fotografie del giovane insegnante di lettere che sorride davanti all’obiettivo insieme ai suoi alunni, mostrano chiaramente che lo sguardo entusiasta del giovane soldato ventenne, era, irrimediabilmente, tramontato.

Come ha sottolineato Cacciari, parafrasando Eschilo, «la sofferenza, per i grandi non è fonte soltanto di dolore, e tantomeno di disperazione, ma energia che consente di apprendere e comunicare agli altri».

La dura prova a cui, giovanissimo, venne chiamato, gli si impresse dentro – immancabilmente ed indelebilmente – ma non riuscì a cristallizzarlo in una adamantina aridità interiore: gli fece, invece, comprendere nel senso più profondo il messaggio socratico che vede il male come ignoranza del bene. Nella trentennale esperienza a fianco dei ragazzi, ha mostrato un’umanità che viene, ancora oggi, ricordata dai suoi allievi con profonda commozione e ci ha consegnato, a distanza di poco più di vent’anni dalla morte, un altro spiraglio di luce a cui guardare come esempio di lealtà e limpidezza. Virtù quasi estinte al giorno d’oggi.

 

Costanza de Hauteville

Redazione l’Alba

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