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“Teatro” di Vincenzo Pirrotta a Biancavilla

Sab, Giu 30, 2012

Cultura, Eventi, Primo Piano

A Villa delle Favare il Circolo Castriota presenta la Rassegna “In cerca d’Autore”

Come scriveva Pier Paolo Pasolini «Nel teatro la parola vive di una doppia gloria, mai essa è così glorificata… Perché essa è, insieme, scritta e pronunciata. È scritta, come la parola di Omero, ma insieme è pronunciata come le parole che si scambiano tra loro due uomini al lavoro, o una masnada di ragazzi, o le ragazze al lavatoio, o le donne al mercato – come le povere parole insomma che si dicono ogni giorno, e volano via con la vita.»

In questo intento si colloca l’ultimo libro di Vincenzo Pirrotta, intitolato Teatro. Il testo, edito da Editoria & Spettacolo, è una raccolta di cinque atti unici di grande intensità che tocca temi forti e provocatori, quali la mafia e la pedofilia in un paese di cui l’autore esalta la bellezza ma denuncia il degrado.  Si tratta di lavori che l’artista siciliano ha scritto in dieci anni: All’ombra della collina, Malaluna, La ballata delle balate, La grazia dell’angelo, Sacre-Stie.

Il noto drammaturgo, attore e regista è stato ospite lo scorso 16 giugno presso Villa delle Favare, a Biancavilla, per un incontro promosso dal circolo “Castriota” con l’ospitalità nei locali del Comune del paese etneo e la collaborazione del periodico l’Alba.

Hanno conversato con l’autore, il prof. Pino Pesce, direttore del periodico l’Alba, la prof.ssa Rosa Maria Crisafi e la prof.ssa Mariacarmela Crisafi, docenti di Materie letterarie. Il dott. Giuseppe Catania, presidente del circolo culturale, ha coordinato i lavori, introducendo la serata con una riflessione sul significato di cultura e sull’urgenza di farla, quale insostituibile alimento per la mente. Gli interventi dei relatori sono stati scanditi da alcuni brani, interpretati dall’elegante e simpatica esposizione dell’attrice Luisa Ippodrino, dalle note del violino di Federico Pedicona e della chitarra classica di Armando Percolla. Dopo le presentazioni e un breve profilo sull’autore, si è subito entrati in medias res, con una riflessione sulla sicilianità dei testi.

Su un passo di All’ombra della collina, letto dalla Ippodrino, apre gli interventi il prof. Pesce, il quale prima di presentare Vincenzo Pirrotta come drammaturgo,  lo ha ricordato come attore, ruolo artistico dove eccelle per la sua energia espressiva e la sua fisicità: «E’ come se un dio parlasse in lui» dice il direttore de l’Alba ricordando il foscoliano «Nume in petto» che poi «caratterizzerebbe – con i distinguo e i vari registri ispirativi – Pirrotta come attore, regista e scrittore.»

«I tre ruoli – per Pesce – hanno una matrice formativa comune: la strada (e quindi il nonno di Vincenzo, venditore ambulante di vestiti), l’opera dei pupi e le prime (sempre grazie al nonno) letture di libri sul comunismo e su Pier Paolo Pasolini. Questo retaggio – chiarisce il professore – è più evidente nel dramma A l’ombra della collina, dove lo scrittore di Casarsa – nella trasposizione letteraria, che riconduce all’oltretomba letteraria (da Omero a Dante attraverso Virgilio) – viene presentato da Pirrotta come il proprio mentore».

Dal duettare teatralmente di Pirrotta e della Ippodrino su un dialogo, tratto da All’ombra della collina, il secondo intervento del prof. Pesce, il quale da una parte condivide il carattere di teatro civile e di denuncia, dall’altra non è d’accordo sull’«uso predominante del dialetto che taglia la comunicazione all’interno della stessa area linguistica: Sicilia orientale, centrale ed orientale, a loro volta frammentate dalla miriade di diversità linguistiche.»

A raffreddare i toni cordialmente caldi, l’intermezzo musicale del chitarrista classico Armando Percolla, cui segue l’intervento della prof.ssa Rosa Maria Crisafi che si sofferma proprio sul carattere della denuncia civile, spiegando il significato del teatro pirrottiano con questa frase tratta dal manuale di storia del teatro di Alonge e Tessari: «A teatro la comunità vede riflessi i miti del proprio patrimonio culturale e mitologico: e il teatro suscita negli spettatori un effetto benefico, li libera dalle passioni». Le riflessioni della prof.ssa Crisafi, dal generale al particolare,  da un excursus sulla storia del teatro si sono poi soffermate sulla Ballata delle balate, inserito nel filone della denuncia civile insieme a Sacre-Stie e Quei ragazzi di Regalpetra. Ma a parlarci di questa Ballata,  su invito della Crisafi, è stato proprio l’autore il quale racconta che «è il canto di colpa e di “non espiazione” di un latitante, che recita un rosario dove i misteri dolorosi sono quelli della passione di Cristo e i misteri gioiosi (e non gaudiosi) i grandi delitti di mafia: De Mauro, Scaglione, Impastato, Dalla Chiesa, Chinnici e Cassarà, la masculiata di Capaci, ecc… L’opera è stata meditata  dopo l’arresto del boss di Brancaccio, nel cui covo sono stati trovati bibbie, immagini di santi e altarini».  La vicenda, che si volge durante la Settimana Santa, oscilla tra sacro e profano in mezzo al quale scorre il sangue che come un ossimoro accosta il sangue di Cristo al sangue delle vittime. E così come una pennellata rossa risultano forti le parole del mafioso recitate dallo stesso Pirrotta: «A mia mi piaci lu sangu! E lu sangu n’cà fazzu scurriri iu, cu è n’cà lu po richiamari dintra li vini? Iu vogghiu viriri lu sangu, voggiu astutari li cristiani comu cannili.  Lu ciavuru di lu sangu d’un mortu ammazzatu, pi mia è ciavuru di puisia». Nella fase di scrittura di questo testo – rivela l’autore – è stato assillato da una domanda che solo alla fine ha avuto una risposta: « Come si può leggere il precetto di Gesù ama il tuo nemico e subito dopo essere mandanti di un omicidio? Il mafioso, attraverso la parola sacra, non vuole avvicinarsi a Dio ma sostituirsi a Dio». Infatti il Dio invocato dal latitante non è il Dio misericordioso ma quello sanguinario, della vendetta.

Ma è in Sacre-Stie, come ha sottolineato Mariacarmela Crisafi, che la parola si veste  di una sincerità spietata e provocatoria e sembra prendere corpo, coinvolgendo i sensi.

Un testo dai toni forti e atroci, la storia di un uomo, che impiega la vita a meditare la sua vendetta nei confronti di un cardinale che in passato aveva abusato di lui, quando era solo un bambino, e la cecità del cardinale, elemento catartico per il protagonista, sarà invece il suo contrappasso. Innegabile nel testo il riferimento a Edipo, anche se in questo caso il processo è inverso. E alla domanda cosa si prova a dover entrare nella mente di un pedofilo, Pirrotta risponde che è una realtà atroce che «lascia il vuoto dentro».

Mariacarmela & Rosa Maria Crisafi

Rosa Maria Crisafi

Laureata in Lettere Moderne presso l’Università di Lettere di Catania. E’ autrice del libro “Un inedito episodio artistico medievale”. Insegna materie umanistiche presso istituti di scuola media di primo e secondo grado. Dal 2007 scrive per “l’Alba”.

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