“Leonilde” all’ “Ambasciatori” di Catania per lo “Stabile”
La “storia eccezionale di una donna normale” in un’impercettibile regia
In poco più di 45 minuti sulla scena assistiamo alla rievocazione di mezzo secolo di storia italiana. Ma l’impressione generale è quella di aver assistito al prologo di uno spettacolo che di lì a poco troverà svolgimento. Un plauso merita la protagonista Michela Cescon, capace di utilizzare una vasta gamma espressiva e un’ampia partitura vocale
Una radio d’epoca, un gioco di luci che a tratti illumina alcune sedie sullo sfondo, un cappotto, e una sedia. Una scenografia spoglia ed essenziale accoglie Nilde Iotti (Michela Cescon) nel monologo che ripercorre la vita densa di passioni, politica ed intrighi della prima donna presidente della camera. La guerra, la fame, la passione per lo studio e l’impegno politico, il legame sentimentale con Palmiro Togliatti, l’assemblea dei 75, il dolore per la maternità mancata, la lotta per dare diritti e dignità alle donne.
In poco più di 45 minuti sulla scena assistiamo alla rievocazione di mezzo secolo di storia italiana. Ma l’impressione generale è quella di aver assistito al prologo di uno spettacolo che di lì a poco troverà svolgimento.
E, invece, no: il dramma è già andato in scena, peccato che non ce ne siamo accorti. Leonilde, storia normale di una donna eccezionale, in scena alla sala “Ambasciatori” di Catania dal 15 al 27 maggio nonostante il talento dell’attrice Michela Cescon non approda a risultati esaltanti. La regia a tratti impercettibile di Roberto Andò e un testo che si limita ad abbozzare la biografia di un personaggio la cui vita e la cui politica sembrano coincidere fin troppo, lasciano inesplorate le dimensioni intimiste e civili del dramma. Sicuramente non è stata resa giustizia alla statura morale e politica del personaggio che il testo di Sergio Claudio Perroni, da cui è stato tratto lo spettacolo, intende celebrare. Si intravedono squarci di poesia nella rievocazione del periodo fascista, nella resistenza partigiana, nel ritratto dell’Italia del secondo dopoguerra, dove la fame faceva crescere in fretta le belle figliole, come Nilde Iotti, figlia di socialisti cattolici, ma sono squarci destinati a rimanere sullo sfondo. La poesia del cappotto e della camicia di flanella, che la tenera ma tenace Nilde eredita dal padre, e più avanti il ricordo del legame sentimentale con Palmiro Togliatti, abbozzano una dimensione intimista che non viene sufficientemente indagata. Tutto rimane sullo sfondo, come appena delineato, quando la passionalità del personaggio avrebbe potuto offrire diverse soluzioni drammaturgiche. Anche la dimensione di teatro civile appare appena abbozzata. Dimensione che avrebbe, invece, meritato uno spazio maggiore nel monologo di una donna che con la propria vita privata ha scritto importanti pagine della vita politica del Paese.
La protagonista, nella parte finale del proprio monologo, ricorda le battaglie politiche combattute in prima linea: da quella per il divorzio a quelle per i diritti delle donne e per l’emancipazione femminile; ma le occasioni drammaturgiche, che le rievocazioni di quelle battaglie potevano offrire, ancora una volta, non vengono sfruttate. La scelta di affidare la rievocazione della generazione di italiani usciti dal fascismo e dalla guerra unicamente alla narrazione, intesa come testimonianza diretta della protagonista è condivisibile, ma nell’evocare il vuoto lasciato da quella generazione il dramma è il grande assente dello spettacolo.
Sicuramente un plauso merita la protagonista Michela Cescon, capace di utilizzare una vasta gamma espressiva e un’ampia partitura vocale; con la voce e con la mimica ha dato infatti vita alle diverse sfumature di un’eroina d’altri tempi. Peccato che l’impressione generale sia stata quella di rimanere sulla soglia del dramma.
Laura Timpanaro
Ven, Mag 18, 2012
Spettacolo